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E come Erbazzone
Pubblicato il 03/07/2015
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Montecavolo è una località del preappennino reggiano, frazione del comune di Quattro Castella. Qui avviene, in condizioni ottimali di temperatura e umidità naturali, la stagionatura del Parmigiano Reggiano, in caveau sterminati, che non a caso spesso appartengono a istituti di credito. Una volta l’anno, nel mese di Giugno, Montecavolo diventa capitale dell’Erbazzone, e ospita apposita sagra, con tanto di gara a chi mangia più fette della gustosa specialità reggiana, gradita a tutti per la sua semplicità: con acqua, strutto e sale, si prepara un impasto non lievitato di farina di grano tenero (ammessa, volendo, anche la farina di mais), che racchiude un cuore di “erbe”, ovvero bietole e spinaci, ripassati in soffritto di lardo, cipolla e aromi, legati con uova e ben amalgamati a pangrattato e abbondante Parmigiano Reggiano, con stagionatura minima di 24 mesi. In dialetto viene chiamato “Scarpasòun”, o Scarpazzone, perché nella versione povera contadina si utilizzava nella farcitura soprattutto la “scarpa”, è cioè il fusto biancheggiante della bietola. L’Erbazzone è dunque, per definizione, legato alla stagionalità dell’ortaggio, la cui epoca di raccolta è da fine giugno ai Santi. Secondo tradizione, la cottura ottimale avviene nel forno collettivo da pane, utilizzando un grande stampo detto “al sol”, utilizzato anche per cuocere la torta di riso e quella di castagne. Rotondo, con tre piedi e manico in metallo, il “sole” è girevole, in modo da garantire una cottura uniforme, prolungando più o meno i tempi a seconda delle temperature disomogenee tipiche del forno a legna tradizionale. In rame, metallo ben noto ai produttori di Parmigiano Reggiano per la sua elevata e uniforme distribuzione del calore, i sol erano in genere sui sessanta centimetri di diametro, ovvero le dimensioni canoniche della bocca del forno tradizionale. Ancora oggi in uso, sono assai ricercati nei mercatini dell’antiquariato, specie se decorati da qualche artigiano punzonati con una rosa celtica emblema dell’Appennino. In questa pietanza-simbolo dei reggiani sembrano confluire tutte le peculiarità del territorio, dall’impasto azzimo (probabile riflesso delle antiche comunità ebraiche qui presenti da secoli) al riutilizzo dei cascami del Parmigiano e della lavorazione del maiale.

Oggi si tende a utilizzare indifferentemente il termine “Scarpazzone”, quasi fosse equivalente; in realtà quest’ultimo corrispondeva, fino all’ultimo dopoguerra, alle versioni più povere, che economizzavano perfino sul frumento. Perciò lo Scarpazzone era formato da una singola sfoglia che accoglieva le coste biancheggianti del ripieno, senza secondo strato di copertura, proprio come usa ancor oggi si può vedere in molti paesi della montagna reggiana. O addirittura, quando di frumento non ce n’era proprio, lo Scarpazzone diventava una specie di frittata con bietole (lo Scarpasot) molto, ma molto spartana. Variante fondamentale è l’Erbazzone della zona di Castelnovo ne' Monti-Carpineti, alla quale le ingegnose “rézdore” aggiungevano anche un po’ di riso, rimediato come pagamento in natura quando da marzo a ottobre scendevano a valle come mondine per le lavorazioni e la raccolta nelle risaie. In questa versione montanara un po’ più alta, messa a punto in secoli di indigenza e di duro lavoro, può entrare anche un po’ di ricotta di produzione locale. Se sia stata la montagna a influenzare la pianura o viceversa, è questione oziosa, alla quale è veramente arduo dare risposta certa. Quel che più conta, tuttavia, è l’attuale vitalità dell’Erbazzone reggiano, che rinasce come moderno fingerfood, affine alla piadina, alle focacce e a tante altre torte salate della tradizione italiana, mantenendo una sua dignità pur nell’ambito di una produzione semindustriale necessaria per fare fronte alla grandissima richiesta del territorio, e tuttavia attenta a mantenersi nel solco della  tradizione. Derivano dall'Erbazzone le Chizze salate del reggiano (riquadri di pasta sfoglia al forno col medesimo ripieno), e gli Erbazzoncini fritti nello strutto. L’Erbazzone in genere è oggi popolarissimo come gloria gastronomica locale di Reggio Emilia, Modena e Parma, ma anche nel resto d’Italia gode di discreta fama. e perfino in Mitteleuropa o negli Usa, magari spinto dai consumi di Lambrusco, che sposa a perfezione. Fare in casa l’Erbazzone non è difficile, e dà molta soddisfazione. Mentre si fa riposare l’impasto della pasta sfoglia, lessare o cuocere al vapore le bietole, poi strizzarle e tritarle con la mezzaluna. Accendere il forno a 180°C. In un tegame a fuoco basso far sciogliere i lardelli, aggiungendo poi aglio e cipollotti tritati. Togliere l'aglio e aggiungere prezzemolo tritato, bietole, aggiustando di sale, unire il Parmigiano grattugiato e amalgamare bene. Stendere sottilmente due dischi di pasta sfoglia, il primo di poco più largo del diametro della teglia da rivestire, l’altro per chiudere la preparazione prima di punzecchiarla coi rebbi di una forchetta spennellandola bene con tuorlo d'uovo. Cuocere in forno già caldo per trenta minuti circa. Servire l'Erbazzone tagliandolo a fette o losanghe. Lini 910 è uno dei nomi storici del Lambrusco, prodotto in più versioni, da vigneti di proprietà in conduzione bio. Fruttato e asciutto, il Lambrusco Scuro in Correggio serba quel rustico accento che lo rende compagno ideale di un Erbazzone filologicamente corretto.

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