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La rinascita dell’Aglianico del Vulture e la Cantina Grifalco
Pubblicato il 16/10/2015
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È terra di conquiste e di battaglie, è un piccolo (grande) mondo da scoprire nella sua essenza, nel suo essere “remoto” e assieme accogliente, percorso come è da una linfa vitale e identitaria al punto che, senza di essa, il Vulture non sarebbe più tale. Paesaggi,  a tratti deserti, si fondono armonicamente con sconfinate foreste, intervallate da corsi di acqua e declivi che, progressivamente, svelano una trama vulcanica, calcarea e minerale, resa fertile da calate laviche preistoriche. E, all’orizzonte, il “dormiente” Vulture si staglia con l’imponenza della propria mole a difesa delle variopinte colline ricoperte di vigneti. Secoli di storia racchiusi in quelle vie tortuose che, insinuandosi tra scenari addirittura “lunari”, evocano i profumi e i sapori di una terra dal fascino antico. Qui la storia è storia di uomini, di natura, di scorci fiabeschi; è storia di ulivi, di saperi e di viti. Ed è, infatti, quest’oasi di confine tra Puglia e Basilicata a rappresentare la culla dell’Aglianico, vitigno dall’origine controversa, difficile da ricostruire tra l’aleatorietà delle leggende, il fascino del mistero e la veridicità delle testimonianze documentali. Furono probabilmente gli Aragonesi a denominare Aglianico quel “rosso vino di miele” - l’Ellenico - che talune fonti fanno risalire alla dominazione greca.

È un vitigno avvezzo all’orografia complessa e tormentata di questo lembo d’Italia, laddove la significativa variabilità delle altitudini (dai 200 ai 700 metri) crea peculiarità microclimatiche tali da conferire al vino un carattere inconfondibile, pur nella costanza della sua naturale indole. Austero, dalla fitta trama tannica, ricco nella dotazione antocianica e di freschezza, restituisce vini eleganti, longevi e dalle dinamiche olfattive complesse. Dall’aristocraticità dei vini di Rionero e Ripacandida, alla vigoria tannica di quelli di Pianoro di Masseria S. Angelo, passando per l’equilibrio dei vini di Barile, l’Aglianico conserva il fascino della memoria e il vivido attaccamento alle proprie radici. Un fascino capace di allontanare Fabrizio Piccin e Cecilia Naldoni, viticoltori toscani, dalla propria terra natia, purtroppo ancorata nell’empasse della sua stessa notorietà enologica. E così ha inizio l’avventura di una famiglia dedita alla rinascita enologica locale, costretta da decenni in una dimensione domestica o poco oltre, depauperata della propria vocazione ad essere patria di nobili vitigni.

Il nome, Grifalco, nato dalla cresi tra il mitologico grifone ed il falco dei cieli di Basilicata, vuole essere un continuo rimando al Vulture e simbolo di una sorta di devozione verso quel terroir unico ed inimitabile. Dislocati nelle sottozone Maschito, Ginestra, Serra del Prete, Venosa, i vigneti interpretano appieno la variabilità dell’Aglianico, lasciato, infatti, libero di esprimersi su suoli ora ricchi di pietra (come Venosa), talvolta carichi di sabbia (come Serra del Prete) e, infine, su quelli immancabilmente “vulcanici” della Contrada Maschito. Ciascuna etichetta si fa, pertanto, custode dei segreti più profondi di questi cru, e ambasciatrice della filosofia di una famiglia che, con una passione mai sopita, si impegna per restituire all’Aglianico l’identità persa dopo anni di produzioni di massa, orientate alla massimizzazione delle quantità. Attenta invece ad assecondare la naturale ciclicità della vite, la Cantina Grifalco segue con occhio vigile il processo di vinificazione, rifuggendo da prassi invasive, per regalare vini “autentici”, che evochino i ricordi di una terra ancora da scoprire, trasmettendo il credo di chi ha rinunciato alla fama della Toscana per inseguire il proprio ideale di vino.

Cantine Grifalco
Località Pian di Camera 
85029 Venosa (PZ)
www.grifalco.com
info@grifalco.com

 

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