Fritto. E basta la parola. Quattro sono i piatti regionali che prendono nome da questa tecnica culinaria: piemontese, bolognese, romano e napoletano. Il Fritto misto piemontese prescrive panatura o pastella sia per i vegetali (melanzane, cardi, zucchine, fiori di zucca, carciofi, funghi) che per le carni (creste di gallo, fegato, animelle, cervello, crocchette di pollo, costolette di agnello), a comporre un insieme molto eterogeneo comprendente anche semolino dolce e amaretti. Particolarmente ricco e variato è il Fritto misto alla bolognese, composto non solo da carni e verdure di ogni tipo, ma anche da stecchi alla bolognese (spiedini di mortadella, groviera e carne impanati) e cremini (crema pasticcera soda tagliata a dadi e impanata). Il Fritto misto alla romana attinge invece a piene mani dall’allevamento ovino e dalle risorse dell’agro attorno alla capitale, alternando prodotti dell’orto (caratteristici i supplì, i cavolfiori e le mele renette in pastella croccante) al “quinto quarto” di cervello, animelle e schienali, detti anche filoni. Abbastanza simile è il Fritto partenopeo, caratterizzato da crocchè di patate, mozzarella in carrozza, pasta cresciuta, panzerotti e scagliozzi di polenta. La frittura è antica tecnica di cottura, ampiamente diffusa nel mondo mediterraneo culla dell’olivo. Già l'antica Roma pagana conosceva i frictilia, dolci rituali dei Saturnali a base di uova, farina e miele, antenati delle Frappe o Chiacchiere di Carnevale. Oggi, la moderna dietetica tende a limitare al massimo o addirittura a eliminare i fritti, considerati cibi elaborati e troppo calorici, di difficile digestione. Bisogna però ammettere che il fritto non ha rivali quanto a appetitosità e piacevolezza; quando è ben eseguito e risulta croccante, dorato e asciutto, non è più calorico né più nocivo di tante altre preparazioni. La frittura è una tecnica di cottura per concentrazione, durante la quale l’acqua presente nell'alimento evapora a causa delle altissime temperature raggiunte, più che doppie rispetto a bollitura o lessatura, presupposto indispensabile per il buon esito della cosiddetta Reazione di Maillard, atta a conferire croccantezza e inconfondibile aroma all'alimento. “Fritta - dice un proverbio toscano- è buona anche una suola di scarpa.” A rendere così appetitosa la frittura è la sequenza di reazioni chimiche che si verifica durante il contatto tra il grasso caldo (almeno 140°C) e l'alimento, sia al naturale ( ad esempio, patate fritte) che semplicemente infarinato, oppure rivestito di pastella o impanatura. Poiché la Reazione di Maillard consiste nella caramellizzazione degli amidi, farina e pangrattato contribuiscono in maniera determinante al processo di doratura esterna, conseguente all’immersione in olio ben caldo. Temperatura, tempi di cottura e modalità dipendono dalla loro composizione chimica, a sua volta legata alle materie prime dalle quali viene estratto, siano esse legumi (soia), semi oleosi (arachidi, girasole, sesamo) cereali (mais, riso) o drupe come l’oliva. Diversi risultano infatti, in ciascuno di essi, le relazioni tra acidi grassi saturi e poliinsaturi, il contenuto vitaminico, i fenoli, i tocoferoli, gli alcoli e gli altri micronutrienti, dai quali dipendono il cosiddetto “punto di fumo” e la stabilità in fase di cottura. Secondo un pregiudizio tanto ingiustificato quanto diffuso, la frittura fatta con olio di semi sarebbe più “leggera”, e dunque preferibile a quella che impiega extravergine d'oliva, contraddetta però dall’identico valore calorico di 9 Kcal per grammo comune a tutti gli oli.
Ad essere sfavoriti sono in realtà gli oli di semi, ricchi di acidi grassi poliinsaturi particolarmente sensibili alle alte temperature, nonché più deperibili, in quanto soggetti a ossidazione, mentre l'extravergine vanta una bassa concentrazione di acidi grassi poliinsaturi e un maggior quantitativo di antiossidanti che lo rendono assai più stabile alle alte temperature. Comunque sia, tutte le tecniche di cottura (brasatura, stufatura, frittura) determinano un processo chimico noto come perossidazione lipidica, che modifica le proprietà organolettiche degli oli, con conseguente formazione di composti potenzialmente nocivi. Tempi troppo lunghi e temperature troppo alte inducono inevitabilmente scadimento organolettico e degradazione dei trigliceridi con rilascio di acidi grassi liberi, drastica riduzione degli acidi grassi polinsaturi e formazione di sostanze tossiche, tra le quali è ben nota l'acroleina, pungente e sgradevole all’olfatto. Le alte temperature, d’altra parte, non sono affatto necessarie, visto che si può friggere fra i 160° e i 185°C , ben al di sotto della soglia dei 200°C oltre la quale si colloca il punto di fumo fatidico, influenzato da fattori diversi, quali presenza di sale, presenza di mono e digliceridi degli acidi grassi, durata del riscaldamento a cui viene sottoposto l'olio, riutilizzo del medesimo, dimensioni del recipiente (meglio se ampio ). Ecco dunque di seguito le dieci regole auree alle quali è bene attenersi per ottenere una buona frittura:
1. Utilizzare una padella larga, di buon materiale e a bordi alti.
2. Utilizzare abbondante olio extravergine di oliva.
3. Monitorare con termostato o con sonda la temperatura, che non deve mai oltrepassare i 180°C.
4. Cambiare l'olio ad ogni frittura.
5. Attendere che l’olio sia ben caldo prima di introdurre nuovi pezzi.
6. Non distrarsi in altre occupazioni.
7. Mantenere completamente in immersione gli alimenti da friggere.
8. Friggere pochi pezzi alla volta.
9. Non lasciare residui ad annerire nell’olio.
10. Salare solo all’ultimo, dopo aver scolato ed asciugato dall'olio in eccesso.
Infine, qualche regola generale per l’abbinamento. Una frittura croccante e ben eseguita diffonde un caratteristico e irresistibile profumo al quale risponde a tono la fragranza di lieviti in lisi di un metodo classico come Oltrepò Pavese, Franciacorta o Alta Langa, oppure la semiaromaticità dai risvolti minerali di un Valdobbiadene e Conegliano Prosecco Superiore. La contenuta alcolicità e il corpo aggraziato dei non millesimati corrispondono bene alla struttura di un fritto misto vegetale o di una tempura, eccellenti antipasti o amuse-gueule da sfizioso intrattenimento. Inoltre, grazie alle mille e mille bollicine di carbonica, gli spumanti possiedono virtù rinfrescanti, dissetanti e stimolanti proprie degli aperitivi, pur possedendo un tenore alcolico adeguato a detergere e resettare, compensando succulenza e untuosità. La vena minerale, in tandem con la freschezza, bilancia tendenza dolce e grassezza, riequilibrando piacevolmente il palato.