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F come fish and chips
Pubblicato il 29/01/2016
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“Fish and chips with salt and vinegar make my mouth water/ Mushy peas and slice of buttered bread and I am in heaven/Gobbling chirpy chips and fresh fried fish, a relish of gooey batter”. (Fish and chips con sale e aceto, e già sento l’acquolina,/ e vellutata di piselli con pane imburrato. / Così mi sento in paradiso,/ allegro divorando ogni boccone, di morbida pastella rivestito). Al piatto nazionale britannico Raj Napal, poeta e avvocato di fama di origine indiana, ha dedicato i suoi versi più ispirati. In realtà Napal vive in Canada, ma il Fish and chips è tradizione consolidata non soltanto nel Regno Unito, ma in numerosi paesi del Commonwealth, tanto che dal Canada all’Australia e dalla Nuova Zelanda al Sud Africa si contano a migliaia i punti vendita, ai quali bisogna aggiungere gli esercizi e i "chip vans" ambulanti di Irlanda, Danimarca e nord Europa fino alla Scandinavia. Nel nostro paese non esiste nulla di simile, nonostante l’esistenza di numerose specialità regionali affini, come il Frisceu genovese o i Filetti di baccalà fritti dorati della tradizione giudaico-romanesca. E tuttavia un Fish and chips filologicamente ineccepibile si può trovare a Catania, in via Montesano, presso il centrale Corso Sicilia. La storia attribuisce inoltre a un immigrato italiano, tale Giuseppe Cervi, la diffusione del Fish and chips in Irlanda a partire dall’ultimo quarto dell’Ottocento. Cervi aveva montato un calderone per frittura su un carretto, e con l’aiuto della moglie Palma preparava espresso pesce e patate, che gli avventori di strada indicavano con la frase di rito (ancora oggi in uso a Dublino) “one and one”, ovvero “un po’ di questo e un po’ di quelle”. In effetti, ancora oggi in Irlanda la maggior parte del business odierno è in mano a immigrati o discendenti di immigrati dal Sud Italia.

Secondo John Walton, autore di una storia del Fish and chips, il piatto conquista definitivamente il palato anglosassone nella seconda metà dell’ Ottocento, di pari passo con il forte incremento della pesca a strascico nel mare del Nord e l’espansione della ferrovia che rendeva disponibili ampie quantità di pescato fresco anche nelle zone più interne. Caldo, gustoso e nutriente, il Fish and chips diventa ben presto il cibo preferito della classe operaia. A prezzo, oltretutto, irrisorio, come ricorda George Orwell nel suo “Road To Wigan Pier”: “You can’t get much meat for threepence, but you can get a lot of fish and chips” (Con tre pence, non si compra molta carne, ma puoi avere un sacco di Fish and chips). Nel 1896 a Whitechapel, Londra, un tale Sam Isaacs è il primo ad aprire un locale dedicato al Fish and chips, ove il ceto popolare, attratto dai prezzi accessibili, subito si affolla, in particolare durante il week-end. Ancora oggi, infatti, influenzato dall’antico retaggio dei precetti cattolici, il venerdì sera il ceto popolare tende a perpetuare la rituale astensione dai consumi carnei, sostituiti da pesce e patatine, che non interferiscono col digiuno. Tra le due guerre mondiali, il numero di esercizi già assomma ad oltre 35.000, e sia il pesce che le patate ("buoni compagni", secondo Winston Churchill) rientrano fra i pochissimi generi esclusi dal razionamento, al fine di non abbassare troppo il morale della popolazione. In linea con il proverbiale “sense of humour” britannico, “Fish and chips” è anche la parola d’ordine durante lo sbarco alleato. Nel dopoguerra si consolida lo status di totem gastronomico per eccellenza.

I Beatles George Harrison e Paul Mc Cartney del periodo pre-vegano si fanno fotografare volentieri mentre attingono cibo dai famosi cartocci di carta di giornale. Nel 2010, i parlamentari del Regno Unito hanno proclamato il centocinquantesimo anniversario ufficiale della specialità, sancendone, attraverso solenni festeggiamenti, l’appartenenza alla tradizione culturale britannica, nonostante le radici primigenie siano da ricercare altrove. Secondo la ricostruzione storica del già citato Walton, infatti, le patate a fettine (“french fries”) sarebbero giunte dal Belgio, mentre alla penisola iberica e a pietanze popolari come i Bolinhos de Bacalau si sarebbe guardato per il pesce fritto. Nel solo Regno Unito, sono attualmente più di diecimila i rivenditori ufficiali di Fish and chips, che nell’insieme sfornano oltre 380 milioni di porzioni, per l’equivalente di almeno sei porzioni per abitante, compresi lattanti e ottuagenari. Il comparto assorbe un buon quarto di tutto il pesce bianco consumato nel Regno Unito e il 10% di tutte le patate, per un giro di affari al consumo del valore di 1,2 miliardi di sterline.

Il Fish and chips trionfa anche sotto il profilo nutrizionistico: una porzione media di pesce, patatine fritte e piselli contiene solo il 7,3% di grassi, di cui 2,8% è grasso saturo, più o meno la metà rispetto ai grassi del fast food, senza contare i benefici di un elevato contenuto di omega 3, proteine, fibra, ferro e vitamine (oltre un terzo della razione giornaliera raccomandata). Sono 10.500 gli esercizi aderenti all’Associazione di categoria, fondata nel 1913, che per simbolo ha un faro, con un netto distacco sui 1.200 punti vendita McDonald’s e sugli 840 Kentucky Fried Chicken.

Per i bocconi di pesce in frittura, in Gran Bretagna e Irlanda, si utilizza tradizionalmente una semplice pastella di acqua e farina, resa più leggera da un pizzico di bicarbonato. Un’ottima pastella alternativa si prepara con una birra tipo ale (calcolare un rapporto di 2:3), che oltre una texture più leggera conferisce anche un colore più pronunciato. A Mechanicsburg, Pennsylvania, non troppo lontano da New York, il Brewpub Appalachian Brewing (6462 Carlisle Pike) offre una rinfrescante amber ale dal tocco speziato di zenzero e cannella, da abbinare al Fish and chips del locale, preparato con una pastella alla medesima birra.

Le nuove norme impongono oramai piena tracciabilità del pescato e indicazione della specie ittica utilizzata. A fianco del “cod”, il tradizionale merluzzo (da cui il nome-calembour di alcuni locali come "The Codfather" e"Oh My Cod"), troviamo ad esempio l’eglefino, il pollack o l’haddock, oppure, in paesi come la nuova Zelanda e Australia, ove il comparto è business popolare e fonte di reddito per gli immigrati cinesi, l’esotico pangasio proveniente dal sud-est asiatico; salmone e pesce gatto sono invece comuni in Usa e Canada. Occhio alle domande di rito del “chip shop”, quando la ragazza addetta al servizio vi apostrofa: “Cod or haddock, love?” oppure, per il condimento: “Salt and vinegar?” (a volte, anche ketchup o salsa tartara) E infine, riguardo alla confezione: “Open or wrapped?” Il più delle volte l’involucro che vi viene consegnato riproduce all’esterno la prima pagina di un quotidiano, a ricordo di quando, fino agli anni settanta, si usava avvolgere la frittura in autentici fogli di vecchio giornale, incuranti di inchiostro e contaminazioni varie (“la notizia di oggi - diceva una canzone di Elvis Costello - è carta di fish and chips l’indomani”). “Wrapped” rispondete, se vi affrettate a casa. “Open” se consumate sul posto, aiutandovi con apposita forchettina di legno, soffiando sui bocconi roventi, ancora sfrigolanti di friggitrice. 

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