Si contano forse sulle dita di una mano le donne depositarie dei segreti di preparazione di questa particolarissima pietanza tradizionale barbaricina, a base di pasta di semola di grano duro tirata sottilissima, intrecciata, fatta essiccare e portata a cottura in brodo di pecora bello denso, insaporito con “casu axedu”, ovvero con pecorino fresco acido. Su Filindeu è un piatto sacrale, preparato per i fedeli che ogni anno, partono da Nuoro durante la notte precedente il primo Maggio, e si recano a piedi in pellegrinaggio al santuario di San Francesco di Lula, distante 32 chilometri, in occasione della festa di Sant’Efisio. Per completare l’intero tragitto si impiegano dalle 4 alle 6 ore.
Della vita del santo non si sa molto, e quel poco è avvolto di leggenda. Giovane ufficiale dell’esercito romano ai tempi di Diocleziano, Efisio era originario della Siria. Da antiche fonti sappiamo che si mise in luce durante una missione nell’Italia meridionale e poi in Sardegna, ove, convertitosi alla religione cristiana, viene incarcerato, torturato e martirizzato nei pressi di Nora nell’anno 303 della nostra era, dieci anni prima che Costantino proclamasse il cristianesimo religione dell’impero. La tradizione popolare attribuisce a sant’Efisio numerosi interventi prodigiosi, che nei secoli hanno rinsaldato il legame delle genti isolane col “suo” santo, quasi un avvocato celeste, un nume tutelare invocato in ogni difficile circostanza. La pestilenza di manzoniana memoria del 1652 tocca l’isola nel 1656. Per scongiurarla, gli isolani invocarono la protezione del santo, organizzando una solenne processione che, a mo’ di ex voto, si sarebbe rinnovata ogni anno, a calendimaggio.
Ancora oggi profondamente sentita, la festa coinvolge centinaia di pellegrini, con poche varianti rispetto al rituale descritto da Grazia Deledda nel romanzo Elias Portolu, sdoppiata nelle due ricorrenze del primo maggio e del 4 ottobre, e ha come meta il Santuario di San Francesco a Lula, 23 chilometri dal paese di Lula, sul costone collinare dominato dal Monte Albo. Attorno alla chiesa, il cui nucleo originario risale al Cinque-Seicento, spiccano "sas cumbessias", piccoli edifici adibiti all’ospitalità dei pellegrini, in buona parte moderni. Oltre al riposo, da parte dei priori della festa viene offerto ai fedeli anche il conviviale ristoro del Filindeu, i “fili di Dio”, la cui specialissima ricetta si tramanda da generazioni di madre in figlia.
Da un iniziale impasto tirato e piegato in due, poi in quattro, in otto e così via si arriva, ripetendo pazientemente la procedura, ad ottenere 256 sottilissimi fili, seguendo una tecnica molto simile all’ancestrale lavorazione cinese degli spaghetti. La semola di grano duro impiega acqua salata, in modo da conferire resistenza e plasmabilità massime all’intreccio di fili, che vengono infine adagiati in tre strati diagonali su un canestro o setaccio di fibra naturale di circa settanta centimetri circa di diametro, da esporre al sole fino a essiccatura della pasta, poi spezzata grossolanamente e lessata in brodo.
Su Filindeu è pietanza rituale per eccellenza, e come tale assai difficile da trovare perfino sul desco familiare degli isolani. Oltre all’opportunità delle ricorrenze religiose, ecco comunque due validi indirizzi: il Country Resort Su Gologone e il Rifugio, a Nuoro, quest’ultimo vero scrigno di sapori locali, a due passi dal museo- casa natale di Grazia Deledda.
Abbinamento solenne con il Muristellu Igt dell’azienda Atha Ruja, di Dorgali, selezionato da Patrizia Leonardi. In zona, al raro vitigno, qui presenza secolare, veniva tributato il nome di “cannonau mandrone”, ovvero cannonau pigro, per le difficoltà di coltivazione. Viti in parte ad alberello, con ceppi di veneranda età, austero, concentrato, e al tempo stesso in mirabile equilibrio, ieratico quanto basta per accompagnarsi degnamente al Filindeu.