Avvolto nel mistero fin dall’antichità, si è ritagliato un alone di fascino e d’inarrivabilità che, quasi certamente, nessun altro cibo possiede. Stiamo parlando del tartufo bianco pregiato, il Tuber Magnatum Pico, per lungo tempo definito una pianta, un’escrescenza del terreno e persino un animale. Nel primo secolo d.C. addirittura si arrivò a credere che nascesse dalla fusione dell’acqua con il calore e i fulmini. Al di là delle varie credenze rimane il fatto che il tartufo è sempre stato un cibo molto apprezzato, in particolar modo sulle ricche tavole di nobili e prelati. Soltanto nel Novecento, però, è assurto a fama mondiale grazie a Giacomo Morra, famoso ristoratore di Alba, che fu battezzato “Re dei Tartufi”dal Times di Londra nel 1933.
Oltre allo spettacolare apporto aromatico che impreziosisce i vari piatti a cui viene aggiunto, altra dote del famoso Tuber (particolarmente contrastata) è quella di possedere virtù afrodisiache - che studi più recenti hanno però confermato - grazie alla presenza di un alcole che avrebbe proprietà euforizzanti. Celestiale sintesi quindi del totale appagamento dei sensi. Prodotto esclusivamente in Italia e soltanto in alcune zone ben definite come Alba, oggi lo si trova abbondantemente anche in Molise dove molti anni fa alcuni Trifolau piemontesi andavano con i propri cani a cavar delle “patate puzzolenti”. Per apprezzarlo al meglio non va mai cotto ma soltanto lamellato (con il famoso tagliatartufi) sopra al cibo a cui si unisce: pasta, riso, carne, uova ecc. Così se in questi giorni di festa si volesse rendere indimenticabile una serata (avendone la possibilità: quest’anno il Tartufo bianco, vista la poca pioggia dei mesi estivi, ha raggiunto prezzi astronomici!) basteranno due uova cotte in un tegamino di coccio, servite morbide e ben calde con abbondante “grattata” di tartufo e magistralmente abbinate a uno spettacolare Barbaresco Santo Stefano 2001 di Castello di Neive.