L’etimologia, innanzitutto. Finanzièra è, secondo il dizionario più autorevole, sostantivo stante ad indicare:”1. Abito maschile con giacca lunga, detto anche stiffelius o redingote o prefettizia, usato soprattutto nel sec. 18° e nei primi decennî del sec. 19° dai grandi banchieri (di qui il nome) e dai ministri e deputati. 2. Nel canottaggio, tipo di barca a remi simile alla gondola 3. Pietanza delicata a base di interiora di pollo, fegatini, uova, ventriglio, cuore, o di creste e bargigli, cotta con burro, bagnata con vino o marsala, servita per lo più con crostini o come contorno di carni e sformati diversi”. E tuttavia, quale ruolo fondamentale avevano i finanzieri nell’antico Piemonte, ma anche in Francia, ove molti ricettari annoverano ricette “à la Financière”? Afferma Anthelme Brillat-Savarin nella sua “Fisiologia del gusto” (1825): “Se vi sono buongustai per predestinazione, ve ne sono anche per condizione sociale, appartenenti a quattro grandi categorie: i finanzieri, i medici, i letterati e i devoti”. I finanzieri, in particolare, sono definiti “eroi del buon gusto”, in quanto- argomenta Savarin- “l’aristocrazia nobiliare avrebbe schiacciato i finanzieri sotto il peso dei titoli e degli stemmi se i finanzieri non si fossero difesi con la sontuosità della tavola e con le casseforti”. La classe dei finanzieri, dunque, legata al mondo degli affari, delle banche e del mercato azionario, contrapponeva l’aristocrazia del censo all’aristocrazia del ceto, tenendo a distinguersi anche nell’abbigliamento ricercato, ma essenziale, agli antipodi dei mille fronzoli della nobiltà, rappresentato da una giacca lunga (mutuata dalla redingote -riding coat degli inglesi), detta appunto “finanziera”, accompagnata da panciotto e cappello a cilindro in tono.
Nella Torino sabauda, molti esponenti dell'alta finanza usavano ritrovarsi in piazza Carignano, di fronte al parlamento subalpino, ove ancora oggi lo storico locale “Al Cambio” conserva il tavolo riservato al conte Camillo Benso di Cavour, grande imprenditore e ministro delle finanze, fervente ammiratore dell’Inghilterra e del suo solido sistema economico, garantito dai fiorenti commerci e dall’avanzatissima civiltà industriale. Finanziera, secondo alcuni, si sarebbe chiamato il piatto preferito da Cavour e sodali, ricco e composito piatto unico che sublima ingredienti umili, come creste di gallo, fegatini di pollo, cervella, animelle, funghi porcini, piselli e vino rosso (in un secondo tempo si sarebbe usato anche il Marsala). La pietanza era legata caratteristicamente all’avvento della bella stagione, quando il pollame veniva castrato e messo all’ingrasso, rendendo disponibili sia i testicoli (o granelli), che le creste e i bargigli, ingredienti caratteristici e immancabili di ogni Finanziera che si rispetti, degna di quel Cavour grande statista e grande gourmet che si racconta che la sera del 29 aprile 1859, proclamata la guerra all' Austria, esclamò: «Alea iacta est. E adesso andiamo a mangiare!»
In Toscana, seguendo modalità analoghe, si prepara fin dal Rinascimento un piatto simile, noto come Cibreo, che come la Finanziera sembra discendere da un comune archetipo di quasi sei secoli fa, il “Pastello de creste, ficatelli et testiculi di galli” descritto nel Libro de Arte Coquinaria di Maestro Martino da Como, cuoco del patriarca di Aquileia. Ma, tornando alla Finanziera e alla sua etimologia, va registrata altresì una seconda ipotesi, in verità meno plausibile, che fa discendere il nome dai “finanzieri” del dazio, in altri termini le guardie addette al controllo doganale, alle quali i pollivendoli del contado venuti a far mercato in città usavano regalare, per ingraziarsele e ottenere libero accesso, le rigaglie e le interiora del pollame medesimo. Che tuttavia non erano affatto considerati scarti; all’opposto, rappresentavano autentiche prelibatezze, degne dell’attenzione di un grande cuoco di corte (al servizio di Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II) come Giovanni Vialardi (1804-1872), che include nel suo ricettario un ragù di rigaglie e granelli di pollo, nobilitati da tartufo e vino di pregio, come Madera o Marsala. L’aggettivo sostantivato Finanziera sta dunque ad indicare una preparazione ricca e sontuosa, ancorché sublimazione di ingredienti umili di ambito rurale. Ai granelli, poi, erano attribuite virtù afrodisiache e corroboranti della fertilità, valore aggiunto di molti gustosi piatti “alla finanziera”che si ritrovano sia nelle nostre cucine regionali che in quella classica francese, in particolar modo quella di stampo Ancien Régime. Della salsa francese denominata "financière", guarnizione tipica per “vol-au-vent” e simili, è stato scritto che si chiama così “… parce qu'elle contient des ingrédients riches, comme du jambon maigre, des truffes et du vin de Madère”. E’ da smentire, perciò, il luogo comune che si tratti di una ricetta di recupero, nata dalla povertà, e poi adottata (e adattata nobilitandola) in ambito borghese, citata in opere illustri come il Dizionario Gastronomico di Alexandre Dumas (alla voce ragout, con presenza di tartufi), e la Scienza in cucina e l' arte di mangiar bene del nostro Pellegrino Artusi, che descrive un sontuoso piatto di «braciole di castrato e di filetto di vitella alla finanziera». Non è pietanza di facile esecuzione, in quanto richiede lunga elaborazione, avendo cura di rispettare i diversi tempi di cottura di ogni ingrediente, sbollentando, infarinando e ripassando in tegame). L’uso moderno ha introdotto frattaglie di vitello (filoni, cervella, granelli), con l’optional di verdure come i piselli, ridimensionando l’aceto, comunque presente in entrambe le varianti principali, la cosiddetta Finanziera di città, ove si preferisce il Marsala, rispetto alla Finanziera di campagna, che si mantiene fedele al Nebbiolo. Per quella di città il must è sempre il Cambio, a Torino; mentre per quella di campagna un indirizzo sicuro è La Ciau del Tornavento, a Treiso.
Ed ecco, in sintesi, una ricetta di massima. Lessare in acqua salata per mezz’ora circa le creste di gallo, le animelle e i granelli. In acqua salata acidulata con aceto, sbollentare il filone e le cervella di vitello, per poi cubettare il tutto a dadini. In una ciotola impastare carne tritata, parmigiano e uova, formando col composto tante pallottoline, da infarinare e lessare in acqua bollente, sgocciolando con la paletta bucata appena affiorano. In un tegame con olio extravergine ripassare le pallottoline con cipolla e rosmarino tritati, unendo poi i funghi porcini a tocchetti. Sfumare con il Marsala e qualche cucchiaio di aceto, ultimando la cottura a fuoco vivo. Portare in tavola ben caldo. Si ama o si detesta, senza mezze misure. La ama, indiscutibilmente, l’arguta Cristiana Lauro, che nel suo blog tesse le lodi del Cambio appena rinnovato e dello chef Matteo Baronetto, che la prepara “ più gentile di quella tradizionale e con i pezzi più grandi in evidenza, per far conoscere a tutti le parti che la compongono”. Alla Finanziera, “un classico per appetiti da camionista”, Cristiana ammette di non resistere ogni volta che mette piede a Torino. E per la Finanziera, quale vino? Non ha dubbi Fabio Gallo, responsabile di cantina del Cambio, che da noi interpellato ha asserito con convinzione: “Barolo, nonostante tutto sempre Barolo. Il legame storico prima di tutto”.