Ius Soli per lo Chardonnay!
Alcune riflessioni sul vitigno più apolide del mondo.
Pubblicato il 03/10/2017

Predilige i climi temperati-caldi, i terreni collinari, argillosi e calcarei, gli ambienti ventilati e freschi, anche perché ha una buccia sottile che lo espone al pericolo di muffe. Possiede una grande varietà di componenti aromatiche, che si esprimono in modo diverso secondo il terreno ed il clima in cui viene coltivato. Ed è, questa, la prima delle sue peculiarità: lo Chardonnay è, come si dice in gergo, un vitigno che “legge” molto il terreno, così come il clima. Nel mondo del vino si sente dire che lo Chardonnay è una garanzia: un vitigno capace di dare un risultato quantomeno accettabile ovunque venga piantato. In alcuni terreni ed in alcuni climi diventa addirittura eccellente, basti citare nomi come Champagne, Chablis e Borgogna, ma non solo. È dunque la sua adattabilità ambientale una delle caratteristiche che più lo contraddistinguono, adattabilità che, lungi dal renderlo omogeneo e scontato, ne fa un vitigno capace di esprimersi in modi e livelli qualitativi diversi. Questo è il segreto, ormai noto, di questo fantastico vitigno, ed è questo, probabilmente, il motivo alla base del fatto che esso rientri, oggi, nel gruppo dei cosiddetti vitigni internazionali, dei quali è sicuramente il primo della lista. Ma lo Chardonnay possiede un’altra importante qualità: una grande duttilità tecnica. Un’uva dalla quale si possono ottenere tutte le tipologie di vini: dallo spumante al vino fermo al passito, quindi che si presta a tutte le vinificazioni, per vini adatti dall’aperitivo al dolce. Anche il Verdicchio, splendido vitigno marchigiano a bacca bianca, possiede questa duttilità tecnica, anche con esso, infatti, si fanno ottimi spumanti, vini fermi e passiti. Ma il Verdicchio non ha adattabilità ambientale, viene bene solo nel suo territorio, le colline marchigiane, e nemmeno tutte. Infatti, la sua diffusione sul territorio nazionale e pressoché limitata ai territori dei Castelli di Jesi e di Matelica. Lo Chardonnay, al contrario, si trova praticamente in tutte le regioni d’Italia, con alcune zone di elezione, da solo o accompagnato da altre uve in blend. Pensiamo alla zona del Trento Doc, dove è spumantizzato in purezza, o alla Franciacorta, dove è in uvaggio col Pinot Nero, al Piemonte, dove trova impiego sia in vini fermi che in bollicine come l’Alta Langa, oppure ai più dorati ed opulenti Chardonnay del Sud, come quelli siciliani, per esempio. Altra caratteristica di non poco interesse è che, anche a rese relativamente alte, riesce a produrre vini di buona qualità, a rese basse può regalare vini di alto pregio mentre se si superano gli 80 ql./ha, si ha un notevole calo qualitativo. Naturalmente è molto diffuso in Francia, da dove provengono gli Chardonnay più apprezzati al mondo: in purezza in Borgogna, compresa l’enclave di Chablis e, in uvaggio con Pinot Nero e Pinot Meunier, in Champagne. Lo troviamo, diffusissimo, in California, in Cile, in Australia ed in Sud Africa. Ma vediamo le altre caratteristiche tecniche: ha una buona capacità di accumulo degli zuccheri, quindi dà la possibilità di ottenere vini con importanti gradazioni alcoliche, cosa che può essere anche un punto debole se non si decide con attenzione quando vendemmiare. Ha alti livelli alti di acidità tartarica e buona capacità di controllo su questa, inoltre possiede buona tolleranza alla siccità ma teme le gelate primaverili ed ha una vigoria elevata e costante. Predilige i sistemi di allevamento a spalliera come guyot e cordone speronato perché, essendo sensibile alle muffe, questi sistemi lo difendono meglio consentendo un miglior arieggiamento dei grappoli. Inoltre, ha una grande variabilità intravarietale: tanti cloni, che danno vini diversi, specie nel carattere aromatico; due genotipi principali, a seconda del livello dei terpeni e del carattere moscato più o meno accentuato; tre genotipi in base al contenuto di linaiolo: neutro, mediamente aromatico e aromatico.
