Intervista a Paolo Crepet
Il celebre psichiatra afferma che il vino è arte, cultura, educazione, condivisione, comunicazione, consapevolezza. Evviva Crepet!
Pubblicato il 27/02/2018
Nasce a Torino da genitori veneti. Si laurea a Padova in Medicina e Chirurgia. Lungo il suo percorso di studi percepisce che gli aggrada capire la ragione delle cose, è attratto dalla mente delle persone, vuole ottenere e offrire delle risposte, così si specializza in Psichiatria dopo essersi assicurato la seconda laurea in Sociologia. Uomo intenso, di poche parole, ironico, essenziale nel suo fascino, occhi chiari, capelli brizzolati, alterna periodi in cui porta una barba incolta. Convinto dell’originalità delle persone, tra le citazioni della sua pagina su internet appare: “Riempite lo schermo del computer con le vostre idee, non con quelle scaricate dagli altri”. In una sua prefazione di un libro sul tema della biodiversità scrive: “L’Italia non è un paese normale, non lo è mai stato, nel bene e nel male. E questo non deve suonare come una critica o come la descrizione di un limite antropologico, ma come l’espressione della nostra migliore diversità”. Crede nel coraggio delle idee. È attratto dalla qualità delle cose e degli esseri umani per cui non gli piace perdere istanti se non è il caso, proprio come il filosofo, precettore di Nerone, Seneca, ritiene che concedere del tempo sia un dono prezioso perché, a differenza dei beni materiali, non sarà mai restituito. Erudito, si definisce un buongustaio. Rammenta i passatelli preparati dalla nonna romagnola, lo dilettano i vini bianchi friulani, ma non disdegna i grandi rossi, è attratto anche dalla vivacità e dal perlage delle bollicine se di qualità. Gli piace il profumo della vernice, forse perché rammenta i suoi antenati artisti e per la sensibilità all’arte che ha sempre dimostrato. Sostiene di non essere bravo dietro i fornelli , ma capisce la peculiarità della buona cucina, amante dei primi piatti in modo particolare dei risotti. Intende il calice di vino un momento di condivisione. È sedotto dai racconti dei produttori sul nettare di Bacco quando si trasformano in cantori e rivelano storie di uomini, di vigne che hanno reso unici il vino e la loro terra…
Lei è sempre stato tra gli psichiatri più ricercati nei saloni del piccolo schermo. Negli ultimi anni si parla molto spesso di cronaca nera, perché?
La cronaca nera è stata costantemente affrontata. Numerosi anche i grandi processi dei primi anni del ‘900, allora non esistevano i mass media per cui l’eco era minore. I giornalisti che poi sono diventati direttori di quotidiani importanti sono partiti da questi argomenti. L’interesse è stato corrente. Successivamente la presenza della televisione lo ha amplificato attraverso trasmissioni serali, oggi non è più così. I programmi nel corso della giornata se ne occupano.
Si parla di femminicidio, cosa sta accadendo alla nostra società?
Nulla. Semplicemente le donne sono maggiormente consapevoli della loro indipendenza e lo dimostrano. Un tempo la sudditanza al maschio era una mentalità. Ora non esiste più. Ringraziamo Dio che i tempi siano cambiati.
Tra i tanti libri che ha scritto è legato a uno in particolare?
Sì, Le dimensioni del vuoto. È l’unico libro nel quale era vivo mio padre. Su questo testo abbiamo parlato, ci siamo confrontati, ci siamo incrociati, a tratti conosciuti. Avrei voluto che fosse successo anche dopo. È scomparso, non è stato più possibile.
Lei è nato a Torino. Che giudizio dà riguardo i piemontesi?
Sono persone oneste, grandi lavoratori, sobri. Chi è rimasto nella regione, durante il periodo della forte emigrazione, è stato coraggioso. Molti hanno lasciato la propria terra, altri si sono fermati e ne stanno raccogliendo i frutti. L’importanza del vino in questa regione si è scoperta dopo lo scandalo del metanolo, quando le persone hanno finalmente percepito il valore della qualità del vino e dalle osterie si sono trasferite alle enoteche. Slogan famoso nel passato è stato Milano da bere, in realtà avrebbero dovuto dire Torino da bere.
Che valore ha il vino nel nostro paese?
Il valore del vino in Italia è stato scoperto tardi. I francesi lo hanno capito in tempo e commercializzato subito. Non dimentichiamo che le bollicine più richieste sono quelle dello Champagne. I nostri prodotti non sono inferiori ai loro, anzi alcuni migliori, ce ne siamo accorti tardi. Tantissime le donne iscritte ai corsi per sommelier. Un tempo si potevano contare sulle dita di una mano. Gente che proviene da regioni più povere è rimasta nei luoghi natii proprio perché il vino ha offerto posti di lavoro. Chi conosceva quarant’anni fa il Barolo? Quasi nessuno. Il valore del vino consiste anche sulla comunicazione. Il Prosecco, ad esempio, è consumato prevalentemente come aperitivo, si aggiunge allo spritz. Si valorizza in questo modo? Esistono aziende che producono bollicine interessanti. Cerchiamo di diffondere questo messaggio.
Perché in alcuni paesi l’uso dell’alcol è maggiore rispetto ad altri?
Per la mancanza di cultura. Se pensiamo ai paesi del nord Europa come Svezia, Norvegia e Danimarca rabbrividiamo nel conoscere i dati riguardanti le cifre sull’alcolismo. Bevono troppo e male. Molto diffusi i superalcolici. Bere non è come salire su un taxi, bisogna averne consapevolezza e conoscere cosa si beve, altrimenti è preferibile dissetarsi con l’acqua. Il vino è un’arte.
I suoi amici La definiscono una persona raffinata, perché?
Non sono io raffinato, sono gli altri bifolchi. Se mi trovassi in un club inglese non apparirei così raffinato.
Un augurio se stesso?
Mi auguro di incantare, sedurre e spingere la gente ad amare.
La citazione sul vino che più La rappresenta?
Avevo un amico artista che beveva così tanto che nell’ultimo bicchiere aggiungeva una sorta di Alka-Seltzer esclamando : “Quando troppo è troppo!”
E per Lei cos’è troppo?
La stupidità… Talvolta è eccessiva.
foto © Leonardo Céndamo