Dalla Toscana Bocelli 1831
Pubblicato il 10/10/2023
Un simbolo dell’Italia, vero e proprio ambasciatore del nostro paese nel mondo, il suo timbro vocale invidiabile risuona in oltre ottanta milioni di dischi, la sua voce inconfondibile e il suo carisma hanno incantato intere platee, Re e Regine, Presidenti e Papi, lui è Andrea Bocelli, e questo pomeriggio nella splendide sale dell’Hotel Rome Cavalieri, sede centrale della Fondazione Italiana Sommelier, accompagnato dal fratello Alberto, l’enologo Luca d’Attoma ci ha fatto conoscere anche un’altra interpretazione: i suoi vini.
La famiglia Bocelli vanta una lunga storia nel mondo agricolo e del vino, che risale al 1730, quando lavorava le vigne e le terre del Principe Corsini, a Spedaletto, un paesino tra Lajatico e Volterra; il 1831, anno che troviamo sulle bottiglie, ha segnato una svolta, Gaspero Bocelli acquista il Podere Poggioncino e da quel momento generazione dopo generazione si sono succedute acquisizioni e diverse attività.
I genitori di Andrea e Alberto, Alessandro ed Edi, commerciavano in macchine agricole nelle Officine Bocelli, luogo che ancora esiste e che oggi ospita un ristorante centrato fortemente sulla qualità e sull’origine naturale dei prodotti, perché la cultura passa anche attraverso il cibo, con miele, olio e formaggi di produzione della famiglia.
L’ambizione e l’amore viscerale per i campi della Toscana, con le vigne e gli ulivi secolari, hanno portato la famiglia Bocelli alla scelta di intraprendere un percorso qualitativo importante, segnato dall’incontro nel 2020 con Luca d’Attoma, enologo capace di visioni fuori dagli schemi, tanto rigoroso quanto innovatore, che ha subito dato una impronta decisa iniziando dai vigneti, dove trovano dimora Sangiovese, insieme alle storiche simpatiche comari Canaiolo e Malvasia Nera, poi Trebbiano Toscano e Cabernet Sauvignon, e sono allo studio anche Petit Verdot e Merlot. L’azienda è situata a Lajatico, in provincia di Pisa, in un territorio molto vocato, su terreni di origine differente, alcuni alluvionali di medio impasto, con argilla e ricchi di minerali, altri chiari, di origine marina, limosi, profondi e sottili, che gode di un microclima molto favorevole allietato da dolci brezze marine filtrate dalle colline vicine, portatrici di salubrità e freschezza.
I genitori di Andrea e Alberto, Alessandro ed Edi, commerciavano in macchine agricole nelle Officine Bocelli, luogo che ancora esiste e che oggi ospita un ristorante centrato fortemente sulla qualità e sull’origine naturale dei prodotti, perché la cultura passa anche attraverso il cibo, con miele, olio e formaggi di produzione della famiglia.
L’ambizione e l’amore viscerale per i campi della Toscana, con le vigne e gli ulivi secolari, hanno portato la famiglia Bocelli alla scelta di intraprendere un percorso qualitativo importante, segnato dall’incontro nel 2020 con Luca d’Attoma, enologo capace di visioni fuori dagli schemi, tanto rigoroso quanto innovatore, che ha subito dato una impronta decisa iniziando dai vigneti, dove trovano dimora Sangiovese, insieme alle storiche simpatiche comari Canaiolo e Malvasia Nera, poi Trebbiano Toscano e Cabernet Sauvignon, e sono allo studio anche Petit Verdot e Merlot. L’azienda è situata a Lajatico, in provincia di Pisa, in un territorio molto vocato, su terreni di origine differente, alcuni alluvionali di medio impasto, con argilla e ricchi di minerali, altri chiari, di origine marina, limosi, profondi e sottili, che gode di un microclima molto favorevole allietato da dolci brezze marine filtrate dalle colline vicine, portatrici di salubrità e freschezza.
Il primo vino presentato è il Poggioncino 2020 (13,5%), a base Sangiovese con incursioni di Canaiolo e Malvasia Nera come nella tradizione, lavorato interamente in acciaio, deriva dalle parcelle più giovani ed esposte a nord, da cui provengono i vini più freschi e snelli.
È un vino che trasmette felicità, condivisione quotidiana e territorio, il cui colore rubino di buona trasparenza, vivace e luminoso, veicola l’idea di schiettezza confortata dall’immediatezza delle note fruttate giocate sui toni del lampone e della ciliegia che si arricchiscono di profumi di erbe aromatiche e foglie di ulivo, aliti salmastri e accenni di radici. Il sorso è caratterizzato da succosità, vivace freschezza e un moderato tannino, con salinità centrata e una bevibilità molto contemporanea.
È un vino che trasmette felicità, condivisione quotidiana e territorio, il cui colore rubino di buona trasparenza, vivace e luminoso, veicola l’idea di schiettezza confortata dall’immediatezza delle note fruttate giocate sui toni del lampone e della ciliegia che si arricchiscono di profumi di erbe aromatiche e foglie di ulivo, aliti salmastri e accenni di radici. Il sorso è caratterizzato da succosità, vivace freschezza e un moderato tannino, con salinità centrata e una bevibilità molto contemporanea.
Uno degli impianti più vecchi della famiglia è quello a Trebbiano, su un falso piano a 200 metri s.l.m. in un’area molto fresca, dove le piante sono delle vere opere d’arte plasmate dal tempo, che ormai possiedono quasi un’anima e sicuramente una loro voce, che hanno ispirato un nuovo vino, un elegante macerato in anfora, non filtrato, dedicato alla mamma Edi, l’annata 2021 (Trebbiano Toscano, 14%) anteprima è stata la guest star della serata. Un vino che si presenta nel calice in una ammaliante veste oro antico di grande brillantezza e coccola il naso con i richiami alla mela cotogna matura e leggeri cenni di cera d’api ravvivati da un tocco di zenzero e arie di eucalipto. Al sorso è avvolgente, glicerico, con percezioni di miele ed erbe aromatiche, scosso da intermittenti brividi acido-sapidi e leggera astringenza, con la sua dinamica e la struttura manifesta una ottima presenza scenica, si fa amare fino all’ultima goccia e si congeda con un inchino perentorio lasciando una lunga eredità gremita di sapore.
L’etichetta, con elementi metallici, essenziale, di grande pulizia e bellezza, riproduce l’immagine della scansione dell’incontro tra le frequenze delle accordature 432 Hz e 440 Hz, orientale ed occidentale, e può sembrare un anfiteatro, coniugando così le passioni dei due fratelli, l’uno musicista e l’altro architetto.
L’etichetta, con elementi metallici, essenziale, di grande pulizia e bellezza, riproduce l’immagine della scansione dell’incontro tra le frequenze delle accordature 432 Hz e 440 Hz, orientale ed occidentale, e può sembrare un anfiteatro, coniugando così le passioni dei due fratelli, l’uno musicista e l’altro architetto.
Al padre Alessandro è dedicato “Terre di Sandro”, Sangiovese in purezza, figlio della raccolta su due parcelle, una a Lajatico e una a Terricciola, quest’ultima di oltre vent’anni, caratterizzate da terreni diversi e maturazioni che si distanziano di circa due settimane. Terricciola in particolare è un incantevole borgo di origine etrusca, situato nella valle dell’Era, che cela una realtà vinicola antica, molto conosciuta ancora prima che esplodessero Bolgheri e Montalcino, e da qui proviene il clone F9, tra i più vocati per l’invecchiamento e tra i più ricercati.
Per l‘annata 2020 del Terre di Sandro (14%) la lavorazione ha previsto una vinificazione in acciaio con macerazione di oltre trenta giorni seguita da immediata malolattica, poi maturazione in tonneau in parte in rovere austriaco, parte francese e qualche barrique, anche se il futuro potrebbe prevedere l’introduzione di botti grandi.
Lo spartito in questo calice è differente dal primo rosso, a partire dall’intensità del rubino e la maggiore concentrazione cromatica. Tra i profumi echeggiano tratti di macchia mediterranea e ginepro, fanno il loro ingresso accenni di speziatura, prugne, incursioni di arancia rossa e legno di cedro, toni che indicano una strada ben indirizzata che lascia intravedere una crescita promettente. Al sorso sfoggia una matrice di freschezza e sapidità, mentre si svela nel calice restituisce una complessità profonda in espansione attraverso energia minerale e ritorni marini che si uniscono a quelli agrumati plasmando equilibrio e lasciando una bocca ricca e tersa.
Per l‘annata 2020 del Terre di Sandro (14%) la lavorazione ha previsto una vinificazione in acciaio con macerazione di oltre trenta giorni seguita da immediata malolattica, poi maturazione in tonneau in parte in rovere austriaco, parte francese e qualche barrique, anche se il futuro potrebbe prevedere l’introduzione di botti grandi.
Lo spartito in questo calice è differente dal primo rosso, a partire dall’intensità del rubino e la maggiore concentrazione cromatica. Tra i profumi echeggiano tratti di macchia mediterranea e ginepro, fanno il loro ingresso accenni di speziatura, prugne, incursioni di arancia rossa e legno di cedro, toni che indicano una strada ben indirizzata che lascia intravedere una crescita promettente. Al sorso sfoggia una matrice di freschezza e sapidità, mentre si svela nel calice restituisce una complessità profonda in espansione attraverso energia minerale e ritorni marini che si uniscono a quelli agrumati plasmando equilibrio e lasciando una bocca ricca e tersa.
L’ultimo vino presentato è Alcide 2020 (15%), che porta il nome del nonno, a base di Cabernet Sauvignon, solido e profondo, frutto di una attenta gestione agronomica della vigna, con piccoli grappoli, impianto solamente a cordone speronato e vinificazione calibrata, con macerazioni molto prolungate ma a bassa temperatura cui segue lunga e lenta maturazione rigorosamente in barrique e pièce. Il risultato è un vino dal respiro internazionale col cuore e il carattere toscano come la voce di Andrea Bocelli, capace di varcare i confini dello spazio e del tempo, arrivando a tutti con passione e garbo.
Alcide gioca su verticalità e struttura senza sfoderare i muscoli, è elegante nei toni boschivi che incontrano piccoli ribes e more succose, liquirizia, una vena minerale e col passare dei minuti emerge un'affascinante nota di eucalipto che rilancia lo sviluppo dei profumi. Anche la dinamica gustativa è solida senza essere voluminosa, i tannini sono cortesi e la trama morbida trova uno slancio vitale nei guizzi di freschezza e nella deliziosa progressione sapida.
Una linea che mostra in ogni calice nitidezza e pulizia sorretta da una visione definita e chiara, una visione che mira a trovare e racchiudere la vitalità e l’essenza di un territorio per vini che non siano solo l’espressione del canto di un uomo e di una famiglia ma, come Veronelli ci ha insegnato, sia il canto della terra verso il cielo.
Alcide gioca su verticalità e struttura senza sfoderare i muscoli, è elegante nei toni boschivi che incontrano piccoli ribes e more succose, liquirizia, una vena minerale e col passare dei minuti emerge un'affascinante nota di eucalipto che rilancia lo sviluppo dei profumi. Anche la dinamica gustativa è solida senza essere voluminosa, i tannini sono cortesi e la trama morbida trova uno slancio vitale nei guizzi di freschezza e nella deliziosa progressione sapida.
Una linea che mostra in ogni calice nitidezza e pulizia sorretta da una visione definita e chiara, una visione che mira a trovare e racchiudere la vitalità e l’essenza di un territorio per vini che non siano solo l’espressione del canto di un uomo e di una famiglia ma, come Veronelli ci ha insegnato, sia il canto della terra verso il cielo.