Il mercato mondiale del vino è in crisi e si punta alla rottamazione dei vigneti. Sembrerebbe lo slogan pubblicitario di una campagna per incentivare l’acquisto dell’autovettura nuova, invece è lo stato attuale di un mercato del vino che dopo qualche cenno positivo nel mese di aprile, soprattutto grazie alle prestazioni finanziarie dei vini spumante di basso costo, stenta a ripartire.
La crisi è più evidente negli Stati Uniti, con la mera consolazione che la Francia fa peggio di noi, come anche la Spagna, un po' meno peggio la Nuova Zelanda, vero tonfo per il Sud Africa.
Tutto ha inizio in Francia, dove i postumi del Covid e l’inflazione che spaventa anche i compratori più facoltosi, leggasi pure acquirenti cinesi, gli stessi che avevano pagato qualsiasi cifra per un vino con etichetta francese di fama e non, hanno fatto invertire la tendenza ad un rialzo che era avvenuto con proporzioni smisurate e totalmente ingiustificabili.
Facciamo qualche esempio: è il caso del La Tache della Romanèe Conti, la cui ultima annata veniva venduta nel 2022 a 10.000 euro per passare a 7.800 nel 2023 e del Barolo Bartolo Mascarello che, con le dovute proporzioni e sempre nello stesso periodo, è passato da 500 a 450 euro. In controtendenza gli champagne di Selosse, mentre restano stabili Sassicaia e Tignanello che tengono bene il valore di mercato.
Così, di fronte al calo dei consumi ed alla inversione dei prezzi dei vini fermi, alcuni produttori italiani chiedono una campagna di estirpazione delle viti, come sta avvenendo in Francia, per ridare slancio al vino. Servono ovviamente lo stanziamento di fondi nazionali ed una politica dell’Unione Europea capace di coordinare ed approvare i diversi programmi e strategie di rilancio.
Ad appesantire ancora di più l’attuale quadro generale, c’è la sempre maggiore richiesta di vini dealcolati che per alcuni rappresentano una grossa opportunità, con delle correnti economiche capaci di indirizzare sensibilmente l’andamento del mercato e, di conseguenza, l’atteggiamento politico e comunitario.
È quanto ci riferisce l’amico enotecario e produttore Alessandro Mirizzi, che evidenzia come la fascia di mercato dai 20 ai 30 euro abbia subito una leggera oscillazione al ribasso con delle ingiustificate promozioni, anche di vini appartenenti a categorie più costose, che lasciano presupporre un surplus di magazzino con stock di invenduto.
Del resto ce ne eravamo accorti con le degustazioni per la redazione della Guida Bibenda 2025, con il caso emblematico di una nota azienda piemontese che indica un prezzo al ribasso di 9 euro dell’etichetta di Barbaresco premiato l’anno prima con i “5 grappoli”, oggi proposto a soli 28 euro. Conferma questa tendenza anche l’amico Paolo Gherardi De Candei, direttore marketing per un gruppo di produttori del Veneto e del Friuli, pur riconoscendo la crisi, afferma che le aziende che rappresenta, non avendo aumentato i prezzi quando tutti giocavano al rialzo, hanno mantenuto un listino invariato per tutte le fasce.
Anche noi abbiamo avuto modo di appurare quotidianamente che la fascia intermedia dei vini prodotti ha subito un ribasso fino al 15%, a causa di un considerevole invenduto di magazzino per tutti i motivi che abbiamo fin qui evidenziato, crisi del mercato americano in primis.
Restano escluse quelle zone di particolare fama e quelle aree vitivinicole meno famose ma con grossi potenziali, sulle quali dovrebbero essere indirizzati tutti gli investimenti a lungo termine. Senza scommettere su contributi e finanziamenti immediati per l’estirpazione di vigneti, puntando invece sul reimpianto ed un’accresciuta consapevolezza che una viticultura più evoluta e moderna potrà far risalire anche l’asticella dei mercati.
Infine, nel vino, così come in tutte le cose, bisogna puntare tutto sulla consapevolezza e sulla conoscenza, Noi, nel nostro piccolo, con i nostri corsi ed eventi ce la stiamo mettendo tutta.
Tito Marotta