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Prima estate di un Sommelier dell’Olio
La differenza fondamentale tra le due Sommellerie, del Vino e dell’Olio, sta nell'approccio verso il soggetto di studio. La stessa differenza/affinità che hanno tra loro la Letteratura e la Musica.
Pubblicato il 03/11/2016
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Una dozzina d’incontri interessantissimi, un’ottantina di begli assaggi, una visita in azienda, una colazione fra amici, un pranzo elegante in Terrazza degli Aranci: questo, sulla carta, è il “corso” per Sommelier dell’Olio. In verità si tratta di un “per-corso”, e il cammino inizia dopo il diploma. Novità sociologica: la famiglia, in parte consapevole del nuovo messaggio che avrete acquisito ma in parte ancorata a vecchie consuetudini, prenderà a ridere quelle che sono destinate a esser bollate come le Vostre fissazioni sull’olio. Novità linguistica: sempre piú spesso parlerete dell’Olio come di una bevanda (direte: «Quando capita di bere un olio che è stato troppo al sole…», e frasi simili); naturalmente, è una deformazione professionale: l’Olio, al di fuori delle degustazioni pubbliche o private, non si beve.
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FotografiaDa un lato, dobbiamo notare come questa sia una differenza fondamentale tra le due Sommellerie del Vino e dell’Olio: la prima accosta il suo oggetto al modo di un normale fruitore (il vino passa dal bicchiere alla bocca), mentre la seconda accosta il suo in una maniera che serve unicamente allo studio (che poi questo studio possa esser piacevole per suo conto è altro discorso, ma rimane che berlo non sia il modo preferenziale di fruire di un condimento). Se mi si consente, è come per la Letteratura e la Musica: un romanzo è fatto per esser letto – e lo fanno tanto i ragazzini sotto l’ombrellone quanto i filologi nelle loro biblioteche –, mentre (eccettuati certi lavori contemporanei) una sinfonia è scritta per essere ascoltata – ed è solo lo studioso che si prende invece la briga e il diletto di leggerla –. In questo senso, il Vino è per noi un romanzo e l’Olio una sinfonia.

Anche i romanzi un tempo – nelle regge e nelle piazze – si ascoltavano e non si leggevano, cosí come i vini erano alimento piú che bevanda: lo studioso di Musica forza la sua materia alla via della Letteratura e la legge, lo studioso d’Olio forza la sua alla via del Vino e lo beve. D’altronde, non si può non notare come tanto il Vino quanto l’Olio siano per noi oggetto di storie: non leggiamo le guide e le riviste solo per avere consigli sugli acquisti da fare (o salteremmo le pagine che riguardano annate di vino esaurite, e getteremmo senz’altro le pagine sull’olio che sappiamo di non poter conservare piú di tanto), cosí come non leggiamo i resoconti di concerti per decidere che cosa fare l’indomani sera o le recensioni di libri solo per decidere quali comprare. Tutte queste letture ci sono possibili e care perché sono racconto; in effetti, è un oggetto di cultura ciò di cui si può parlare mentre non lo si ha davanti agli occhi: una sinfonia letta, un olio bevuto. Saremmo ben poveri se potessimo parlare solo dei libri che abbiamo letto (chi ha mai letto il trattato “Sulla Natura” di Epicuro, una delle basi della nostra Cultura?) o solo degli olî che abbiamo incontrato: chi ha mai visto – eppure tutti li conosciamo – l’olio che impastavano alle farine le mani di Penelope, che nella lucerna rischiarava il sogno di Giuseppe il Patriarca, che ungeva il capo dei re d’Oriente, che riluceva sui corpi di giovinetti e giovinette nei ginnasî dell’Egeo, che coronava i capelli del Grande Alessandro?
A ognuno il suo bicchierino («Ancora un sorso, gentile Signora, di Casaliva del Garda?») e brindiamo!
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