Ci sono dei sogni che nascono dalla passione, sono desideri che nutrono lo spirito animando la nostra voglia di crescere. Sono sogni che sorgono spontaneamente frutto di un’esperienza vissuta o di una serie di situazioni che hanno lasciato un segno. Questi desideri ci accompagnano ogni giorno nella volontà ultima di vederli realizzare, tra momenti di grande euforia e periodi di sconforto, quando sembrano soltanto impossibili chimere. Essi continuano a restare sogni sino a quando, spesso per caso, incontri le persone giuste che condividono con te la stessa volontà.
E così è stato per la serata “Orvieto Tokaji, due terroir vicini” degustazione organizzata da Fondazione Italiana Sommelier Umbria presso L’Altarocca Wine Resort di Rocca Ripesena ad Orvieto. L’evento si è fatto materia insieme a Daniele Santilli, appassionato di vini ungheresi, la sottoscritta, da sempre interessata ai vini di Orvieto e a Davide Marotta, modello degustatore, intermediario tra i due opposti. Non ne poteva che nascere una serata da ricordare, dove il connubio tra personalità diverse ha dato vita ad una splendida degustazione, animata da un pubblico appassionato e competete che non ha esitato a dare maggiore dinamicità a quello che spesso rimane il discorso isolato del relatore.
Otto le proposte, selezionate tra quattro vini secchi e quattro dolci rappresentativi di due realtà vitivinicole intrise di storia, cultura e tradizione. La mescita dei vini è iniziata proponendo due vini giovani secchi: Arcosesto Orvieto Classico Superiore 2012 dell’Azienda Altarocca e Tokaji dry Furmint 2011 dell’azienda Portius. Mettendo i bicchieri a confronto sono emerse chiare le matrici minerali dei due campioni: componente espressa dai terreni di origine vulcanica che caratterizza i distinti terroir. Molto composto l’assaggio di Arcosesto, nel giusto equilibrio fresco-sapido, anticipato da un olfatto che insieme alle note minerali, regala sentori di frutta esotica e fiore bianco. Maggiore corposità per il Tokaij dry dotato di ottima spalla acida, tipica del vitigno Furmint, sempre su sfondo minerale, ma più scuro e un timbro floreale più deciso e marcato. Ai vini giovani hanno fatto seguito i vini evoluti con un Terre Viniate 1996 dell’Azienda Palazzone e un Tokaji dry Furmint, della stessa annata, dell’azienda Gròf Degenfeld. Nette sin da subito le differenze cromatiche: giallo dorato per il Terre Viniate, luminosissimo, cristallino, indice di una acidità ancora in piena forma. Giallo oro più intenso per il Furmint, quasi ambra, ma pur sempre ricchissimo di luce. L’olfatto evoluto del Terre Viniate vira sin da subito su toni minerali, con delicato sfondo di fiori secchi e frutta matura. Cede alla gustativa, mancando di corpo, seppur supportato da spalla acida che accompagna il vino fino alla fine. Considerando che è un Orvieto di quasi vent’anni e non è neanche il vino top dell’azienda, dobbiamo riconoscerne i meriti. Di maggiore intensità olfattiva il Furmint di Gròf Degenfeld, distinto sulle note dolci e floreali di camomilla fresca, anche la componente fruttata non lascia adito a sensazione di frutta secca e si mantiene sul registro di freschezza, nonostante l’età. In bocca la “dolcezza” mielata del naso rivela al primo impatto un residuo zuccherino perfettamente bilanciato dalla freschezza. Migliore la struttura anche se assente di corpo sostenuto. Lungo il finale.
E la volta dunque dei vini dolci prodotti con uve attaccate da botrytis, altra componente tipica dei due terroir. Poggio Forno 2012 dell’Azienda Enrico Neri, apre la nuova batteria di vini con il colore tipico delle muffe nobili: ambra chiaro intriso di luce, si muove nel bicchiere consistente a ritmo pacato. Il naso è nettamente iodato, marcatore della botrytis e di un’annata favorevole alla sviluppo di quest’ultima. Non manca la frutta candita agrumata, lo zenzero disidratato, accenni di zafferano, su scia di nespolo in fiore. L’impatto gustativo è dolce, bilanciato dalla freschezza che accompagna il sorso nel giusto equilibrio gusto-olfattivo. Al vino di Enrico Neri poniamo a confronto il Tokaji Aszu 3 puttonyos 2008 dell’azienda Babits. Qui l’ambra si fa più carico nelle note quasi aranciate. L’impatto olfattivo è profondo con sensazioni tostate, torrone, mallo di noce, albicocca candita su fondo sulfureo. L’ingresso è dolce, ma sorprendentemente non così dolce come potremmo immaginare. Con 60gl litro di zucchero le aspettative sono diverse, in realtà, la regale acidità che bilancia questi vini, riesce a creare un equilibrio tale da togliere ogni sensazione di fastidiosa dolcezza. Il vino è tridimensionale con perfetto ritorno gusto-olfattivo.
A concludere la serata il Muffato della Sala 2008 dell’azienda mito della famiglia Antinori, il Castello della Sala e un Tokaij Aszu 5 puttonyos 1999 dell’azienda Monyok. Dorato il primo campione con elegante profilo olfattivo, bilanciato tra i sentori di frutta candita, spezia dolce, miele d’acacia e fiori di ginestra. In bocca rivela altrettanta nobiltà, nel giusto equilibrio tra l’attacco dolce, la freschezza in perfetta progressione ed un finale lungo, quasi secco, che invita al sorso. Differente il Tokaji di Monyok, non solo per l’annata 1999, ma chiaramente alla visiva con toni ambra scuro quasi mogano. Di grande personalità l’impatto olfattivo, evoluto, su registro terziario di note tostate, un accenno fumé, mallo di noce, albicocca disidratata, buccia d’arancia candita. Straordinaria la dinamicità alla gustativa, rivelatrice di un vino in piena forma e in grande equilibrio, dove tutte le componenti fanno ancora pensare ad un vino capace di essere dimenticato in cantina. Un finale di grande piacevolezza, a chiusura di una degustazione che ha voluto segnare l’inizio di molte altre nella splendida cornice di Orvieto erta nel masso tufaceo, terra di vino da millenni e con questa degustazione anche centro di cultura del vino.