In pochi giorni l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riscritto le regole della sana alimentazione definendo con assoluta certezza e dovizia di particolari quali siano i cibi che provocano i tumori e che, dopo averli generati, ne corroborano la recrudescenza e il potere devastante.
La carne, in particolare quella rossa, e i prodotti di salumeria, sono i nuovi Caino del XXI secolo. I loro effetti sul nostro organismo, a parere di illustri scienziati, sarebbero paragonabili a quelli potenzialmente provocati dai fatti di Chernobyl, Fukushima e Mururoa.
L’accento viene posto, in modo particolare, sui trattamenti a base di ormoni, manipolazioni genetiche, conservanti, additivi vari, coloranti; tutti elementi devastanti per il nostro metabolismo. Viene da pensare che gli autorevolissimi studi in argomento traggano le basi da un osservatorio particolarmente focalizzato su popolazioni il cui regime alimentare e, soprattutto, la tipologia e la qualità dei prodotti a base di carne assunti poco abbiano a che vedere con la qualità.
Una generalizzazione che, nel tripudio di vegani e di vegetariani, ha come primo effetto quello di mortificare una filiera che vede l’Italia capofila e, forse, unico attore della vera qualità di settore, laddove, soprattutto, il termine “qualità” sia anche sinonimo di “salubrità”.
Siamo l’unico Paese ad avere oltre 600 prodotti alimentari di derivazione animale a Denominazione di Origine, nei quali è espressamente vietato l’utilizzo di prodotti nocivi e di sintesi chimica, trattamenti ormonali e qualsivoglia agente che possa rappresentare anche una minimale manipolazione artificiosa della materia prima.
Nessuno vuole sconfessare la scienza. Il pericolo però che l’attacco frontale a carni e salumi possa essere strumentalizzato da chi ha tutto l’interesse a ridimensionare il ruolo e il primato Italiano della qualità di settore, è forte. Ed è forte lo stupore, e ancor più la rabbia di fronte al silenzio delle nostre autorità che non hanno il diritto, ma il dovere sacrosanto di difendere i milioni di operatori che quotidianamente lavorano nelle aziende che contribuiscono a fare del Made in Italy alimentare uno dei portabandiera del mondo della qualità italiana, unica e irriproducibile, e per questo continuamente copiata e plagiata.
Dovremmo quindi evitare come la peste una tagliata di Fassona o di Chianina, appendere a un crocifisso un prosciutto di Parma, San Daniele o Sauris, gridare all’untore verso una fetta di Culatello di Zibello, tutta robaccia cancerogena, per poi ingurgitare con orgoglio animalista una zuppa di orzo OGM, una pasta di grano cinese condita con olio lampante marocchino magicamente trasformato in extravergine con rettificatori chimici, ed esultare di fronte a uno splendido arrosto di seitan, coacervo di allegre proteine tenute insieme da una sorta di colla vegetale, accompagnato da un contorno di insalata in busta che ha respirato tonnellate di polveri sottili e ossido di carbonio, tutta roba salubre che non vedo l’ora possa scorrere nelle mie arterie e sollazzare il mio fegato.
Non scherziamo. Difendiamoci e diffondiamo la vera cultura alimentare. L’alimentazione sana è indissolubilmente legata alla qualità dei prodotti, non alla loro natura tout-court.
Se la carne è diventata Caino, nessuno tocchi Caino.