Mineralità: ultimo atto?
Un termine molto "chiacchierato", che divide i degustatori in fazioni più o meno accese. Fra sostenitori e detrattori ecco un altro punto di vista per discuterne ancora...
Pubblicato il 05/04/2017
Il termine “mineralità” solo di recente è entrato ampiamente nel lessico dei degustatori e subito si è vista una divisione, più o meno netta, fra i suoi sostenitori e i suoi detrattori. Diversi gli articoli, diverse le ricerche, diverse le opinioni in merito, al punto che viene da chiedersi se, allora, la mineralità di un vino può essere considerata un descrittore oggettivo.
La scienza è concorde nel ritenere che la mineralità non sia legata affatto alla composizione dei suoli, ma che intervengano altri fattori.
Una interessante ricerca sul tema è quella condotta da Roger Bohmrich, Master of Wine, che ha spiegato con relativa semplicità a cosa è dovuta la percezione della mineralità nel vino.
Andando con ordine va precisato che del termine “mineralità” non si ha traccia nei più importanti testi sul vino, dal Gusto del Vino di Emile Peynaud, all'Oxford Companion to Wine di Jancis Robinson (in quest'ultimo caso almeno fino all'edizione 2015). Nei vecchi testi francesi di Chaptal, Jullien e Pijassou, risalenti ai primi anni dell'800, il termine “mineralité” o riferimenti ad un gusto minerale nei vini, non esistono.
Proprio la Robinson sostiene che “ non c'è alcun collegamento diretto fra il gusto minerale di un vino e i minerali geologici nelle rocce, o gli elementi minerali nel suolo” e aggiunge che “in ogni caso i minerali presenti nel vino sono al di sotto della soglia di percezione”.
Denis Dubourdieu, professore di Enologia all'Università di Bordeaux e consulente di Chateau Cheval-Blanc, recentemente scomparso, riteneva che “la mineralità è un descrittore sensoriale astratto e non può essere preso alla lettera”.
Alex Maltman, professore di Fisiologia e Orticoltura all'Università di Cardiff, ha un approccio ancora più radicale: “l'idea che la geologia del vigneto possa essere letteralmente assaggiata in un bicchiere di vino è meccanisticamente impossibile.”
C'è anche chi, come Roman Horvath ( Master of Wine e direttore di cantina al Domäne Wachau) lascia aperta una porta senza sbilanciarsi troppo, sostenendo che se “da un lato sappiamo che il trasferimento diretto dei minerali dal suolo al vino finito non è qualcosa che possiamo provare, dall'altro lato possiamo notare stili diversi nei vini che provengono da suoli con una geologia differente.”
La scienza è concorde nel ritenere che la mineralità non sia legata affatto alla composizione dei suoli, ma che intervengano altri fattori.
Una interessante ricerca sul tema è quella condotta da Roger Bohmrich, Master of Wine, che ha spiegato con relativa semplicità a cosa è dovuta la percezione della mineralità nel vino.
Andando con ordine va precisato che del termine “mineralità” non si ha traccia nei più importanti testi sul vino, dal Gusto del Vino di Emile Peynaud, all'Oxford Companion to Wine di Jancis Robinson (in quest'ultimo caso almeno fino all'edizione 2015). Nei vecchi testi francesi di Chaptal, Jullien e Pijassou, risalenti ai primi anni dell'800, il termine “mineralité” o riferimenti ad un gusto minerale nei vini, non esistono.
Proprio la Robinson sostiene che “ non c'è alcun collegamento diretto fra il gusto minerale di un vino e i minerali geologici nelle rocce, o gli elementi minerali nel suolo” e aggiunge che “in ogni caso i minerali presenti nel vino sono al di sotto della soglia di percezione”.
Denis Dubourdieu, professore di Enologia all'Università di Bordeaux e consulente di Chateau Cheval-Blanc, recentemente scomparso, riteneva che “la mineralità è un descrittore sensoriale astratto e non può essere preso alla lettera”.
Alex Maltman, professore di Fisiologia e Orticoltura all'Università di Cardiff, ha un approccio ancora più radicale: “l'idea che la geologia del vigneto possa essere letteralmente assaggiata in un bicchiere di vino è meccanisticamente impossibile.”
C'è anche chi, come Roman Horvath ( Master of Wine e direttore di cantina al Domäne Wachau) lascia aperta una porta senza sbilanciarsi troppo, sostenendo che se “da un lato sappiamo che il trasferimento diretto dei minerali dal suolo al vino finito non è qualcosa che possiamo provare, dall'altro lato possiamo notare stili diversi nei vini che provengono da suoli con una geologia differente.”
Bohmrich parte da qui per sottolineare che, tuttavia, tutte le rocce sono costituite da minerali e che quindi ognuna di esse è naturalmente “ricca di minerali”, perciò occorre fare un'ulteriore distinzione fra minerali geologici e minerali nutrienti. I primi, si è detto, formano rocce e sassi; i minerali nutrienti derivano da quelli geologici ma non sono identici e la vite ne assorbe minuscole quantità.
Le radici della vite prendono i nutrienti minerali in forma solubile e siccome i minerali geologici sono composti complessi e insolubili, non gli resta che assorbire i minerali nutrienti.
Dei 16 nutrienti essenziali per la fisiologia della pianta, nitrogeno, fosforo e zolfo provengono dal contenuto organico del suolo; calcio, magnesio e potassio derivano dal suolo, il cui pH e la disponibilità di altri nutrienti sono influenzati dalla presenza stessa del calcio.
La presenza di alcuni di questi minerali nel vino è però il risultato parziale delle procedure di vinificazione.
Per esempio il calcio, generalmente presente tra i 50 e i 150 mg/l, può entrare nel vino durante la fase di chiarifica e filtrazione (bentonite, DE, pad) e viene percepito con un gusto aspro-amarognolo. Il sodio (10-50 mg/l) può essere il risultato dell'aggiunta di metabisolfito di sodio e della chiarifica con bentonite o albumina, ma può arrivare persino ad 1 g/l nei vigneti vicini alle coste marine.
Metalli pesanti come alluminio, zinco, manganese e rame, sono presenti in quantità variabile a causa dei trattamenti chimici in vigna e, ancora, per le pratiche di filtrazione e chiarifica.
Se consideriamo la composizione del vino, esso è fatto all'85% di acqua, con il 13% di etanolo, 1% di glicerina, 0.4% di acidi organici e lo 0.6% di altri elementi, tra cui uno 0.2% di contenuto inorganico, ovvero di minerali.
Le radici della vite prendono i nutrienti minerali in forma solubile e siccome i minerali geologici sono composti complessi e insolubili, non gli resta che assorbire i minerali nutrienti.
Dei 16 nutrienti essenziali per la fisiologia della pianta, nitrogeno, fosforo e zolfo provengono dal contenuto organico del suolo; calcio, magnesio e potassio derivano dal suolo, il cui pH e la disponibilità di altri nutrienti sono influenzati dalla presenza stessa del calcio.
La presenza di alcuni di questi minerali nel vino è però il risultato parziale delle procedure di vinificazione.
Per esempio il calcio, generalmente presente tra i 50 e i 150 mg/l, può entrare nel vino durante la fase di chiarifica e filtrazione (bentonite, DE, pad) e viene percepito con un gusto aspro-amarognolo. Il sodio (10-50 mg/l) può essere il risultato dell'aggiunta di metabisolfito di sodio e della chiarifica con bentonite o albumina, ma può arrivare persino ad 1 g/l nei vigneti vicini alle coste marine.
Metalli pesanti come alluminio, zinco, manganese e rame, sono presenti in quantità variabile a causa dei trattamenti chimici in vigna e, ancora, per le pratiche di filtrazione e chiarifica.
Se consideriamo la composizione del vino, esso è fatto all'85% di acqua, con il 13% di etanolo, 1% di glicerina, 0.4% di acidi organici e lo 0.6% di altri elementi, tra cui uno 0.2% di contenuto inorganico, ovvero di minerali.
Qualcuno chiederà: ma allora perché l'acqua è definita minerale e il vino no?
Va detto che non c'è equivalenza fra i minerali del vino e quelli dell'acqua, per una semplice ragione:
le radici della vite prendono i nutrienti minerali, in parti per milione, per facilitare le reazioni dei carboidrati. I minerali passano attraverso la pianta fino al frutto, il cui succo fermentato diventa un liquido finito – il vino – con un profilo totalmente diverso.
L'acqua, invece, viene prelevata dal terreno dopo che ha attraversato gli strati del suolo, assorbendo direttamente i minerali presenti e viene imbottigliata senza ulteriori maneggiamenti.
Per capire da cosa deriva quindi la percezione della mineralità nel vino, Bohmrich cita alcuni esperimenti fatti con la collaborazione di degustatori francesi e neozelandesi.
60 esperti hanno degustato 16 Sauvignon Blanc provenienti da Marlborough e dalla Francia, potendoli descrivere con una lista di 20 riconoscimenti gusto-olfattivi. Ebbene, è emerso che più i Sauvignon erano ricchi di profumi e di sapore, meno percepita era la mineralità. Sia i degustatori francesi che quelli neozelandesi hanno riportato sensazioni minerali all'olfatto e al gusto, ma i francesi hanno dato più peso a questo descrittore. Note di passion fruit, vegetali, aspre, dolci e di riduzione sono state riscontrate soprattutto nei vini ritenuti poco minerali, mentre sensazioni di amarezza e freschezza/acidità hanno caratterizzato i vini più minerali.
Un altro esperimento ha coinvolto due panel di degustatori, fra professionisti del vino e wine-maker, in Spagna: 17 vini rossi e bianchi descritti come “minerali” sono stati sottoposti all'attenzione del panel senza chiarire lo scopo del test. 6 di questi vini sono stati selezionati come i “più minerali” fra tutti e sono stati analizzati chimicamente.
Dalle analisi è emerso che la presenza nei vini (bianchi o rossi) di acido succinico, di un'alta quantità di anidride solforosa libera, di un basso pH e di un'alta acidità totale, è direttamente proporzionale all'uso del termine “mineralità” con un tasso di probabilità del 95%, mentre questa percezione non è strettamente legata alla presenza di minerali nei suoli o nel vino stesso.
La percezione della mineralità potrebbe quindi essere il risultato degli effetti sinergici dei vari composti che interagiscono fra loro.
In conclusione, Bohmrich sostiene che la percezione minerale sia una commistione di più fattori che la esaltano o la sopprimono.
Va detto che non c'è equivalenza fra i minerali del vino e quelli dell'acqua, per una semplice ragione:
le radici della vite prendono i nutrienti minerali, in parti per milione, per facilitare le reazioni dei carboidrati. I minerali passano attraverso la pianta fino al frutto, il cui succo fermentato diventa un liquido finito – il vino – con un profilo totalmente diverso.
L'acqua, invece, viene prelevata dal terreno dopo che ha attraversato gli strati del suolo, assorbendo direttamente i minerali presenti e viene imbottigliata senza ulteriori maneggiamenti.
Per capire da cosa deriva quindi la percezione della mineralità nel vino, Bohmrich cita alcuni esperimenti fatti con la collaborazione di degustatori francesi e neozelandesi.
60 esperti hanno degustato 16 Sauvignon Blanc provenienti da Marlborough e dalla Francia, potendoli descrivere con una lista di 20 riconoscimenti gusto-olfattivi. Ebbene, è emerso che più i Sauvignon erano ricchi di profumi e di sapore, meno percepita era la mineralità. Sia i degustatori francesi che quelli neozelandesi hanno riportato sensazioni minerali all'olfatto e al gusto, ma i francesi hanno dato più peso a questo descrittore. Note di passion fruit, vegetali, aspre, dolci e di riduzione sono state riscontrate soprattutto nei vini ritenuti poco minerali, mentre sensazioni di amarezza e freschezza/acidità hanno caratterizzato i vini più minerali.
Un altro esperimento ha coinvolto due panel di degustatori, fra professionisti del vino e wine-maker, in Spagna: 17 vini rossi e bianchi descritti come “minerali” sono stati sottoposti all'attenzione del panel senza chiarire lo scopo del test. 6 di questi vini sono stati selezionati come i “più minerali” fra tutti e sono stati analizzati chimicamente.
Dalle analisi è emerso che la presenza nei vini (bianchi o rossi) di acido succinico, di un'alta quantità di anidride solforosa libera, di un basso pH e di un'alta acidità totale, è direttamente proporzionale all'uso del termine “mineralità” con un tasso di probabilità del 95%, mentre questa percezione non è strettamente legata alla presenza di minerali nei suoli o nel vino stesso.
La percezione della mineralità potrebbe quindi essere il risultato degli effetti sinergici dei vari composti che interagiscono fra loro.
In conclusione, Bohmrich sostiene che la percezione minerale sia una commistione di più fattori che la esaltano o la sopprimono.
I fattori che esaltano la mineralità di un vino sono di varia natura, anche psicologica e sociale:
Ciò che appare evidente è che ancora una volta non è possibile trovare alcuna corrispondenza fra la presenza dei minerali nel terreno e la percezione di questa sensazione in fase di degustazione.
Si conclude così la diatriba sulla mineralità che tanto appassiona ogni degustatore? Sì, fino alla prossima ricerca...
- Culturali: per moda o per convenzione si tende a parlare di mineralità.
- Psicologici: da un vino proveniente da terreni con fossili marini, ci si aspetta di percepire un gusto di ostrica (fattore aspettativa).
- Chimici: Alta acidità totale/basso pH; acido succinico (gusto sapido); Alta SO2; tioli volatili come il metilbenzene (odore di pietra focaia); tracce di sali ed altri elementi (sodio, potassio, calcio responsabili di gusti aspri, amari e sapidi); assenza di profumi fruttati e note di riduzione o un gusto poco intenso.
- Sapore dolce (glucosio, fruttosio, etanolo e glicerina)
- Bassa acidità totale/alto Ph
- Densità (glicerina, polisaccaridi)
- Azione dell'ossigeno
- Profumazione fruttata e alta intensità al gusto (esteri, percentuali elevate di legno nuovo)
Ciò che appare evidente è che ancora una volta non è possibile trovare alcuna corrispondenza fra la presenza dei minerali nel terreno e la percezione di questa sensazione in fase di degustazione.
Si conclude così la diatriba sulla mineralità che tanto appassiona ogni degustatore? Sì, fino alla prossima ricerca...