F come Fico
Una tentazione davvero irresistibile rappresentano questi frutti ben maturi, variopinti e molto variabili per forma e dimensioni.
Pubblicato il 07/04/2017
La grande famiglia “Ficus”, comprendente più di 900 specie, originaria delle aree tropicali e subtropicali, è conosciuta e apprezzata per vari scopi, ad esempio ornamentale da interni (Ficus Benjamina), per uso industriale (Ficus elastica, ovvero albero della gomma) o per delimitare proprietà confinanti a mezzo siepi di Ficus Opuntia Indica, la cactacea di origine americana più diffusa nel nostro sud, il ben noto Fico d’India.
Ma in assoluto il primo membro della famiglia a essersi adattato alle nostre latitudini è il Fico per antonomasia, botanicamente noto come Ficus carica, rinomato per i frutti estivi dolcissimi e gustosi, ampiamente diffuso in tutto l’areale mediterraneo. L’appellativo “carica”, d’altronde, non sta a significarne l’abbondanza di frutti, ma si riferisce alla Caria, regione storica dell’Asia Minore (oggi Turchia) con capitale Alicarnasso, prospiciente l’isola di Rodi, ove la specie è documentata fin dal terzo millennio prima della nostra era. E tuttavia ancor più antica sarebbe, secondo studi recenti, la domesticazione da parte dell’uomo, precedente a grano e legumi, tanto da perdersi nella notte dei tempi, e ciò farebbe del Fico il primo albero da frutto domesticato della storia, non a caso avvolto di leggenda.
Ampiamente irradiatosi dalla zona costiera all’entroterra collinare e pedemontano, il Fico è provvisto di un apparato radicale robusto e profondo, che gli consente di adattarsi ai terreni più difficili, come quelli argillosi o ricchi di scheletro, poco fertili o addirittura aridi. Tollera bene lunghi periodi di siccità, e semmai teme, all’opposto, temperature troppo basse; in altitudine vegeta tuttavia senza grandi problemi fino alla soglia dei mille metri, soprattutto se può svilupparsi al riparo di un muro o di un pozzo. Potatura e manutenzione sono ridotti al minimo, e la pianta difficilmente si ammala. Il tronco, piuttosto corto, ben di rado raggiunge i dieci metri di altezza, ma in compenso la chioma si presenta larga e ampia, molto ramificata. Le foglie palmate, a tre lobi o più, da sempre si prestano per foderare e coprire. In accordo con un antico testo apocrifo sulla genesi, le proverbiali foglie di fico con le quali Adamo ed Eva, improvvisamente vergognosi dopo il peccato, tentarono di coprirsi proverebbero che il fatidico albero del serpente tentatore non fosse affatto un melo, ma giustappunto un Fico.
Ma in assoluto il primo membro della famiglia a essersi adattato alle nostre latitudini è il Fico per antonomasia, botanicamente noto come Ficus carica, rinomato per i frutti estivi dolcissimi e gustosi, ampiamente diffuso in tutto l’areale mediterraneo. L’appellativo “carica”, d’altronde, non sta a significarne l’abbondanza di frutti, ma si riferisce alla Caria, regione storica dell’Asia Minore (oggi Turchia) con capitale Alicarnasso, prospiciente l’isola di Rodi, ove la specie è documentata fin dal terzo millennio prima della nostra era. E tuttavia ancor più antica sarebbe, secondo studi recenti, la domesticazione da parte dell’uomo, precedente a grano e legumi, tanto da perdersi nella notte dei tempi, e ciò farebbe del Fico il primo albero da frutto domesticato della storia, non a caso avvolto di leggenda.
Ampiamente irradiatosi dalla zona costiera all’entroterra collinare e pedemontano, il Fico è provvisto di un apparato radicale robusto e profondo, che gli consente di adattarsi ai terreni più difficili, come quelli argillosi o ricchi di scheletro, poco fertili o addirittura aridi. Tollera bene lunghi periodi di siccità, e semmai teme, all’opposto, temperature troppo basse; in altitudine vegeta tuttavia senza grandi problemi fino alla soglia dei mille metri, soprattutto se può svilupparsi al riparo di un muro o di un pozzo. Potatura e manutenzione sono ridotti al minimo, e la pianta difficilmente si ammala. Il tronco, piuttosto corto, ben di rado raggiunge i dieci metri di altezza, ma in compenso la chioma si presenta larga e ampia, molto ramificata. Le foglie palmate, a tre lobi o più, da sempre si prestano per foderare e coprire. In accordo con un antico testo apocrifo sulla genesi, le proverbiali foglie di fico con le quali Adamo ed Eva, improvvisamente vergognosi dopo il peccato, tentarono di coprirsi proverebbero che il fatidico albero del serpente tentatore non fosse affatto un melo, ma giustappunto un Fico.
« Per coprire la mia vergogna, mi misi a cercare in quell’angolo di giardino qualche foglia, ma sugli alberi del Paradiso non ne trovai. Infatti, non appena mangiato, le foglie erano cadute da tutti gli alberi a me dintorno, ad eccezione del fico. Ne raccolsi allora alcune foglie e me ne feci una cintura. Ed era proprio l'albero del quale avevo assaggiato i frutti. »
(Vita di Adamo ed Eva, apocrifo del I d.C)
(Vita di Adamo ed Eva, apocrifo del I d.C)
Una tentazione davvero irresistibile rappresentano in effetti i frutti ben maturi, variopinti e molto variabili per forma e dimensioni, che curiosamente si formano grazie a un complicato sistema di simbiosi mutualistica. A tale proposito, infatti, la botanica distingue chiaramente fra due sottospecie, Ficus carica “sativa” (il Fico coltivato) e Ficus carica “caprificus”, il cosiddetto “caprifico” (fico capro, cioè fecondatore), detto ficoraccio o ficoroccio, assai frequente nelle campagne dell’agro romano. Nelle varietà coltivate sono presenti solo fiori femminili, e pertanto i frutti possono formarsi per partenocarpia, cioè senza impollinazione, eccetto che in alcune varietà, che necessitano invece del polline prodotto dai fiori maschili del caprifico selvatico, il cui trasporto è assicurato da un insetto specifico, la “Blastophaga psenes”, vespetta minuscola, che non svolazza, non punge, e se ne sta rintanata nel frutto sterile e immangiabile del caprifico, luogo ideale per la riproduzione. Al termine di essa, i maschi sono destinati a morire, mentre le femmine cariche di uova sciamano attraverso l’ostiolo, la piccola apertura inferiore del frutto, per andare a deporle proprie uova sia in altri caprifichi che nel Fico vero.
Nel primo caso nasceranno altri insetti, ben riparati dalle pareti protettive del frutto sterile; nel secondo caso è garantita la fecondazione della pianta femmina, e dunque la produzione di ottimi frutti, grazie al polline che la vespetta reca sul proprio corpo, prelevato dagli stami del caprifico. Il binomio insetto-Fico rappresenta un classico caso di simbiosi, detta, in termini scientifici, “mutualmente obbligata”, ovvero specie-specifica: da un lato l'insetto non potrebbe sopravvivere se non nei frutti del caprifico, e dall'altro la pianta di Fico non potrebbe riprodursi senza l'insetto. In tale processo, l’uomo è intervenuto fin dai tempi più antichi, sia appendendo dei siconi di caprifico colonizzati dagli insetti sul Fico comune in modo da favorirne l'impollinazione, sia selezionando un gran numero di varietà capaci di maturazione partenocarpica, portatori di frutti dolci e succulenti anche in assenza di fecondazione, ad esempio ove i rigori invernali non permettono la sopravvivenza della Blastophaga. Tali frutti, peraltro, risultano meno adatti all’essiccazione, a causa della buccia spessa e della polpa più asciutta. Ecco perché alcune varietà di gran pregio, come la turca Smirne, che devono essere obbligatoriamente fecondate, sono diffuse solo in luoghi caldi e assolati, ove la Blastophaga prospera e si riproduce in condizioni ideali. È proprio grazie all’insetto fecondatore che la Smirne conserva colore chiaro e suadente morbidezza, in piacevole contrasto con la croccantezza dei semini interni essiccati, che una volta frantumati diffondono un gradevole sapore vagamente caramellato di nocciola tostata e miele di castagno. Fioritura e fruttificazione possono avvenire più volte nel corso della stagione, e perciò si parla di varietà unifere, bifere e trifere a seconda che la fruttificazione avvenga da uno a tre volte.
Dalla prima fruttificazione di inizio estate, sui rami dell’anno precedente, nascono i “fioroni”, o Fichi primaticci, seguita da una seconda fruttificazione sui rami giovani, cresciuti nel corso della stagione estiva, che dà i cosiddetti “forniti” o Fichi veri di fine estate-inizio autunno, i più dolci e saporiti.
In condizioni climatiche ottimali, a quelle latitudini dove le estati sono più lunghe e calde, alcune varietà portano a termine una terza fruttificazione, ed è la volta dei Fichi “cimaroli”, cosiddetti perché nascono proprio in cima ai rami. Quel che si definisce frutto, è bene precisarlo, è in realtà un “siconio”, ovvero un falso frutto, nient’altro che un involucro esterno destinato a proteggere i frutti veri, che hanno forma di acheni, ovverosia i “granellini” visibili all’interno, ciascuno dei quali destinato a produrre un fiore. Sia fresco che secco, l’umile Fico è sempre stato una risorsa provvidenziale per i meno abbienti, solo o come improvvisato companatico assieme a pane, pizze e focacce, da cui alcuni detti spregiativi come “Non vale un fico”, “Non me ne importa un fico secco” e simili. La dietetica moderna lo classifica tra le fonti primarie di carboidrati rapidamente utilizzabili (11-12%), raccomandabile anche a chi deve tenere sotto controllo la glicemia, associati a benefici microelementi quali potassio, calcio e ferro, e a vitamine A, C e gruppo vitaminico B. Il Fico fresco possiede inoltre un discreto potere saziante ed è coadiuvante delle buone funzioni intestinali, grazie alla presenza di un buon due per cento di fibre.
In condizioni climatiche ottimali, a quelle latitudini dove le estati sono più lunghe e calde, alcune varietà portano a termine una terza fruttificazione, ed è la volta dei Fichi “cimaroli”, cosiddetti perché nascono proprio in cima ai rami. Quel che si definisce frutto, è bene precisarlo, è in realtà un “siconio”, ovvero un falso frutto, nient’altro che un involucro esterno destinato a proteggere i frutti veri, che hanno forma di acheni, ovverosia i “granellini” visibili all’interno, ciascuno dei quali destinato a produrre un fiore. Sia fresco che secco, l’umile Fico è sempre stato una risorsa provvidenziale per i meno abbienti, solo o come improvvisato companatico assieme a pane, pizze e focacce, da cui alcuni detti spregiativi come “Non vale un fico”, “Non me ne importa un fico secco” e simili. La dietetica moderna lo classifica tra le fonti primarie di carboidrati rapidamente utilizzabili (11-12%), raccomandabile anche a chi deve tenere sotto controllo la glicemia, associati a benefici microelementi quali potassio, calcio e ferro, e a vitamine A, C e gruppo vitaminico B. Il Fico fresco possiede inoltre un discreto potere saziante ed è coadiuvante delle buone funzioni intestinali, grazie alla presenza di un buon due per cento di fibre.
Malgrado l’appetibilità e la salubrità del frutto, la presenza di esso sui nostri mercati mal si concilia con i ritmi moderni, e risulta perciò limitata e sporadica, in particolar modo per quanto riguarda la grande distribuzione dei maggiori centri urbani, a causa delle problematiche legate alla maturazione molto scalare, alle onerose tecniche di raccolta esclusivamente manuali e alla delicatezza del frutto, tra i più difficili da manipolare e conservare. Diversamente da altri frutti, infatti, il Fico è definito climaterico; continua cioè la sua maturazione anche dopo che è stato colto dall’albero. Diverso il caso degli orti domestici, ove la coltivazione si mantiene stabile, garantendo a costi irrisori e con poche operazioni un buon quantitativo di frutti sani ed eccellenti per l'immediato consumo di tutta la famiglia. I principali paesi produttori affacciano tutti sul bacino del Mediterraneo: Turchia al primo posto, seguita da Grecia, Algeria, Spagna, Libia, Marocco, Egitto; tra i paesi extraeuropei troviamo Pakistan, India, Cina, California, Argentina e Australia. Assieme alla Francia, che ha ottenuto la denominazione protetta per il Fico violetto di Solliès, l’Italia è il paese europeo che vanta la produzione più qualificata e variegata, e lo dimostrano le numerose manifestazioni a tema che si svolgono un po’ovunque, dalla Festa dei Fichi a Vicchio (Firenze) a quella di Galeata (Forlì-Cesena), dalla Sagra dei Fichi di Pisterzo in provincia di Latina a quella avellinese di San Mango sul Calore, per non parlare delle Sagre dei Fichi secchi come quella di Miglionico, in provincia di Matera, mentre a San Michele Salentino è famoso il prodotto farcito con le mandorle locali.
Al momento della raccolta (salendo sulla scala, attenzione a non concentrare troppo peso sui rami flessibili e fragili), è bene lasciare il peduncolo attaccato al Fico, in modo da ritardarne il deperimento, selezionando solo i frutti morbidi e gonfi, con la pelle intatta. Il periodo di conservazione in frigorifero non può andare oltre i tre giorni.
Diversi mesi dura invece il prodotto essiccato in forno o all’aperto su graticci, come da tradizione contadina. Tra le innumerevoli varietà nostrane, citiamo solo alcune tra le più importanti, quali il Brogiotto, il Dottato (rinomato quello di Carmignano, in provincia di Prato), il Napoletano, il Piombinese, il San Pietro e, soprattutto, il Fico bianco del Cilento, insignito della Denominazione di Origine Protetta per quanto riguarda il prodotto essiccato, con buccia o senza, proveniente da un’area che comprende 68 comuni situati a sud di Salerno, da solo o con aggiunta di altri ingredienti (mandorle, noci, finocchietto, scorze di agrumi, non di rado copertura di cioccolato) purché in misura non superiore al 10%, privilegiandone la provenienza locale. Il Fico bianco locale, riconoscibile dal colore particolarmente chiaro, con buccia sottile e polpa molto dolce, è l’unico ammesso dal disciplinare, che ne prescrive la lavorazione secondo sistemi tradizionali, piena espressione della civiltà e della cultura contadina a cui appartiene da secoli. Tra i produttori più affidabili, ad Agropoli, porta nord del Cilento, dal 2008 c’è l’azienda agricola bio Il Fico, di Guido Ruocco, che conta su una vera e propria piantagione di ottomila alberi di Fico fronte mare. Nella stessa azienda si produce il Ventitré, liquore al Fico che deve il suo nome ai frutti utilizzati per ricavarne una bottiglia da mezzo litro, che sono, appunto, oltre una ventina.
Diversi mesi dura invece il prodotto essiccato in forno o all’aperto su graticci, come da tradizione contadina. Tra le innumerevoli varietà nostrane, citiamo solo alcune tra le più importanti, quali il Brogiotto, il Dottato (rinomato quello di Carmignano, in provincia di Prato), il Napoletano, il Piombinese, il San Pietro e, soprattutto, il Fico bianco del Cilento, insignito della Denominazione di Origine Protetta per quanto riguarda il prodotto essiccato, con buccia o senza, proveniente da un’area che comprende 68 comuni situati a sud di Salerno, da solo o con aggiunta di altri ingredienti (mandorle, noci, finocchietto, scorze di agrumi, non di rado copertura di cioccolato) purché in misura non superiore al 10%, privilegiandone la provenienza locale. Il Fico bianco locale, riconoscibile dal colore particolarmente chiaro, con buccia sottile e polpa molto dolce, è l’unico ammesso dal disciplinare, che ne prescrive la lavorazione secondo sistemi tradizionali, piena espressione della civiltà e della cultura contadina a cui appartiene da secoli. Tra i produttori più affidabili, ad Agropoli, porta nord del Cilento, dal 2008 c’è l’azienda agricola bio Il Fico, di Guido Ruocco, che conta su una vera e propria piantagione di ottomila alberi di Fico fronte mare. Nella stessa azienda si produce il Ventitré, liquore al Fico che deve il suo nome ai frutti utilizzati per ricavarne una bottiglia da mezzo litro, che sono, appunto, oltre una ventina.
I Fichi, si sa, a tavola sposano volentieri salumi e formaggi. Esaltante è l’abbinamento della Mostarda di Fichi di Carmignano con la tradizionale Finocchiona, così come, nelle Marche, il Lonzino di Fichi fa splendida figura accanto a Pecorino dei Sibillini, Ciauscolo e Salame di Fabriano. Dulcis in fundo, a Natale non può mancare il Panettone Loison ai Fichi di Calabria. E d’estate? Il gelato più straordinario, perfettamente mantecato, equilibrato nel gusto e a chilometro zero si trova sul lungomare di Sapri, presso il chiosco del vulcanico Enzo Crivella, che rigorosamente utilizza solo Fichi bianchi del Parco del Cilento.