Puglia ieri e oggi
L’attività enologica in Capitanata negli ultimi due secoli.
Pubblicato il 30/01/2018
Recenti scoperte archeologiche ci dimostrano quanto sia antica la produzione di vino nella Daunia e le fotografie aeree evidenziano tracce di vigneti di età romana anche nei dintorni di San Severo, come presso la masseria Scoppa, dove le viti risultano impiantate col sistema ad alberello, in file di buche scavate nella ‘crusta’, metodo ancora usato fino ai primi decenni del ‘900. Tra l’altro, vi è stabilito che non si paga la ‘piazza’ per esportare il vino fuori dai confini, ma chiunque possiede una vigna deve dare ai monaci sei quartare di vino per ogni “pezza”. (In Capitanata l’unità di misura della superficie agraria era la versura, equivalente ad ettari 1,2345. Una versura di vigneto era suddivisa in 16 pezze ed ogni pezza comprendeva circa 900 viti).
Non conosciamo i vitigni dell’epoca e i sanseveresi non sono ancora i provetti viticoltori di oggi, così noti anche fuori della Capitanata, ma i sistemi di vinificazione e conservazione del vino rimangono a lungo rudimentali e ciò determina una scarsa qualità del prodotto. Le premesse ci sono, ma manca l’esperienza e dobbiamo attendere più di un secolo perché l’attività enologica a San Severo possa migliorare ed espandersi. L’800 è il secolo dei grandi cambiamenti, a partire dall’occupazione francese del Regno di Napoli (1806-1815), durante la quale vengono emanate leggi importantissime, come l’eversione della feudalità e l’istituzione dei Comuni, come oggi li conosciamo, che ci liberano dai tanti vincoli che ostacolavano lo sviluppo dell’economia locale. Dopo l’abolizione della Dogana delle Pecore, che soprintendeva a tutto il sistema di tratturi, di ‘locazioni’ e di ‘poste’, si rendono disponibili le grandi estensioni di terre del Tavoliere. Nella concessione di questi fondi usufruiscono del diritto di prelazione i proprietari di greggi che da tempo inviano dal Molise e dall’Abruzzo i loro animali a svernare nei pascoli di Capitanata e per tale motivo non assistiamo a sostanziali cambiamenti fi no alla seconda metà del XIX secolo. Con il declino della pastorizia transumante, molte ‘poste’ vengono trasformate in masserie e i terreni messi a coltura.
L’avventura del vino sanseverese inizia in conseguenza di un avvenimento drammatico che colpisce l’economia della Francia, la nazione che già nell’ottocento detiene il primato nella produzione e commercializzazione dei vini. L’importazione di viti selvatiche dall’America determina, purtroppo, anche l’introduzione in Europa di parassiti che causano nuove malattie delle piante, come l’oidio, che viene poi curata con lo zolfo; ma è la fillossera, che si diffonde agli inizi degli anni ’60, a devastare i vigneti francesi. Per molti anni non si trova un rimedio efficace e i commercianti francesi, per non perdere la loro clientela, sono costretti ad importare vini da altre nazioni, come la Spagna, la Grecia e l’Italia. Già con il trattato commerciale italofrancese del 1863 aumentano le nostre esportazioni vinicole, ma solo dopo qualche anno si assiste ad un notevole incremento di vigne a San Severo. Il passaggio dal pascolo e dalle colture cerealicole ai vigneti inizia invece in grande stile a Cerignola già nel 1864, quando la famiglia Pavoncelli realizza per esperimento sessanta ettari di vigneti ‘alla latina’; poi concede in miglioria circa 2500 ettari a contadini del barese, detti “versuriesi”, con contratti della durata massima di trent’anni. Nel 1893, sempre a Cerignola, il duca de La Rochefoucauld impianta 3000 ettari di vigneti. Questi grandi tenimenti giungono fino a Posta S. Cassiano, determinando lo sviluppo del nuovo centro di S. Ferdinando di Puglia, mentre le uve vengono lavorate in stabilimenti vinicoli situati direttamente nelle aziende agricole, come Torre Giulia e Torre Quarto, che producono in prevalenza vini rossi e rosati. A San Severo le esportazioni aumentano anche per le tariffe agevolate del trasporto ferroviario concesse dal governo e riguardano sia i vini rossi, detti di ‘mezzo taglio’, che i bianchi di gradazione non molto elevata, che diventano ben presto prevalenti tagli a vini di scarsa gradazione in località sparse per l’Italia. Si produce anche un vino bianco più pregiato, ottenuto dal Bombino insieme a Malvasia o Mostosa, che alcuni grossi commercianti pubblicizzano nei loro listini internazionali come “Weiss Wein golden Trauben”, altra parte finiva invece in Piemonte come base per produrre il Vermouth. Pensare che ancora in quegli anni avvenivano anche concorsi per i vini bianchi con la gradazione alcolica più elevata che raggiungeva tranquillamente i 15 gradi.
Nel luglio del 1900 il sindaco di Foggia comunica al collega di San Severo che nel suo territorio non vi sono stati casi di fillossera, contrariamente alle voci diffuse in quei giorni. In realtà, già da qualche anno questa infezione è presente in Capitanata, anche se in zone ancora limitate, e dovrebbe preoccupare i nostri viticoltori, i quali, fi dando nelle rigide misure di prevenzione attuate dalle autorità, rimandano ancora il reimpianto dei vigneti col sistema francese. Per il momento si pensa piuttosto all’aumento del prezzo del vino, determinato dai danni causati in molte zone dalla peronospora. Ormai quasi tutte le aziende forestiere hanno abbandonato San Severo, come Folonari, il cui stabilimento viene dato in fitto ad Aldo Pugliese. Si incrementa invece la società di Emilio e Antonio Di Capua, che si istalla nel 1973 nei locali del fallito Enopolio dell’Istituto M. Di Sangro e poi acquista lo stabilimento di Vincenzo Di Troia, della capacità di 30.000 ettolitri. In questo periodo si trasferisce nella tenuta di Coppanetta, in contrada S. Antonino, la cantina di Antonio D’Alfonso Del Sordo; è il primo esempio per San Severo di una azienda vinicola sita nell’ambito dei suoi vigneti, che in questo caso si estendono per circa ottanta ettari. Altra iniziativa simile è quella di Nicola Antonacci, il quale fa edificare in contrada Giacchesio uno stabilimento per vinificare le uve prodotte dall’azienda Vitinova. Storia di impegno, voglia di fare e molta povertà che finalmente nei giorni odierni sta cambiando registro con altre eccellenze a livello nazionale dove fino a 40 anni fa non si poteva nemmeno pensare di produrre “spumante metodo classico” da una grandissima uva come il Bombino Bianco. I d’Araprì hanno scavato un solco indelebile nella storia della viticoltura del Tavoliere creando dapprima una “cattedrale nel deserto” che ormai invece è diventato un vero e proprio distretto del sud di spumanti di eccellenza. Molto ancora c’è da fare in una terra generosa come questa ma finalmente i giusti semi sono stati piantati.
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