Ci sono bottiglie di fronte alle quali vengo pervaso da una sorta di timore reverenziale. Non mi riferisco agli Château o ai Domaine più celebri, per il cui possesso bastano preziosi e fruscianti fogli di carta colorata, ma a quelle etichette legate a personaggi unici, che con la loro opera faticosa e disinteressata sono i “portavoce silenziosi” di ambienti e di territori, e riescono a trasferire nel loro nettare il riassunto di storie familiari e di cultura contadina. Nel mondo del vino, come in quello dei distillati. Le grappe di Romano Levi incarnano come in nessun altro caso il carattere del loro creatore, che l’alambicco sembra aver concentrato goccia per goccia e trasferito nel liquido. Un distillato tecnicamente discutibile, a volte crudo, ma sorretto da quel fascino dell’imperfetto che distingue l’artista dal lavoratore diligente, e fa sì che l’errore si trasformi in licenza poetica. Gino Veronelli lo chiamava il Grappaiolo Angelico, capi di stato, rock e movie star facevano la fila di fronte al piccolo laboratorio occupato dall’unico alambicco a fuoco diretto, lo stesso usato dagli alchimisti medievali alla ricerca della pietra filosofale. Per capire e apprezzare una grappa di Romano Levi, prima dell’assaggio dobbiamo liberare la mente dai percorsi tecnici che abitualmente realizziamo perché non ci sono linguaggi codificati che possano descrivere un similare prodotto. È davvero la materializzazione della pietra filosofale: come essa, la grappa di Levi rappresenta l’antitesi della corruzione della materia, è terra, aria e fuoco che si fanno liquido. Era possibile acquistare una sola bottiglia alla volta, da Romano Levi. Se ne volevi di più, dovevi “passare domani”, anche se il tuo nome era quello di un capo di stato o di una divinità cinematografica, in una sorta di “democrazia del gusto” che ha alimentato il fascino del personaggio. Il Grappaiolo Angelico se n’è andato nel maggio di quattro anni fa nella sua Neive, dalla quale, probabilmente, non era mai uscito. Le sue etichette, tutte diverse, realizzate a mano, le custodiremo per sempre come quadri d’autore di un Ligabue langarolo.
Romano Levi
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