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Italy on the road
Pubblicato il 21/09/2012
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L’Italia sta vivendo una lenta eutanasia all’interno dei propri confini, ma l’italianità, all’estero, continua a tirare, come e più di sempre. Los Angeles, agglomerato urbano grande quanto la Lombardia, rappresenta uno dei motori propulsori della vita e dell’economia degli Stati Uniti d’America. Mi trovo qui a condurre un corso Worldwide Sommelier Association, il primo dopo la grande crisi 2009-2011, trattato con onore e rispetto quasi imbarazzanti. Gli allievi hanno voglia di Italia, di cultura e di stile italiani, e il pubblico di enogastronomi è disposto a spendere cifre impensabili anche per vini discutibili, purché rechino il marchio di origine del Belpaese. Dal Prosecco all’Amarone, è un trionfo di etichette italiane. Ho visto comprare bottiglie di Boca e Bramaterra come mai mi è capitato, neppure in Piemonte. La ristorazione nostrana ha fatto impressionanti passi in avanti, sdoganandosi dalle omologazioni e dalle allegoriche interpretazioni della tradizione, iniziando finalmente a proporre cucina e prodotti italiani veri, fatti di pulizia, eleganza, leggerezza. Mangiare e bere italiano sono uno status symbol. Cibo e vino italiani finalmente considerati alla stregua delle firme della moda: provate ad andare da Madeo a Beverly Hills o da Neapolis a Pasadena, dove star hollywoodiane si sentono a casa, coccolate da patron d’eccezione e da piatti che profumano di mediterraneo e dove famiglie intere fanno la fila pur di avere un tavolo per gustare quello che considerano un angolo di paradiso.

In America grazie al cibo e al vino riscopro l’orgoglio di essere italiano, e penso alle immense e irriproducibili forza e genialità, una vera e propria macchina da guerra della qualità, che la nostra miope classe dirigente, responsabile dell’assurda implosione cui stiamo assistendo, si ostina a soffocare.

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