Siamo un grande Paese del vino. La penisola italica ha fatto la storia del vino, ne è stata la culla più importante, i nostri avi più di ogni altro hanno determinato l’espansione della vite in ogni angolo dell’Europa. Siamo, per contro, un Paese ancora povero di cultura del vino, poco attento alla sua valorizzazione, ancora lasciata alle singole iniziative di produttori volenterosi, pochi comunicatori efficaci e a miriadi di fiere male organizzate. C’è una profonda distonia tra la qualità eccelsa oggi espressa dalla fascia media dei vini italiani e l’incapacità di fare massa critica da parte del sistema Paese. In tale scenario, vale oro colato la presa di posizione del ministro Catania in contrasto al divieto di vendita del vino ai minori di diciotto anni. Abbiamo in più occasioni criticato gli atteggiamenti poco incisivi o addirittura contrari alla diffusione della vera qualità e della cultura nel settore enogastronomico da parte dei nostri più autorevoli rappresentanti. Per la prima volta, con coraggio e con il rischio di venire strumentalizzato da ignoranti talebani del finto salutismo, il ministro distingue il valore del vino come sunto di storia e tradizioni rispetto alle dannose inqualificabili e modaiole bevande superalcoliche che pervadono le discoteche sgretolando le sinapsi dei nostri ragazzi. Apprendere, fin dalle scuole, come il consumo moderato di vino possa costituire momento di aggregazione e di socializzazione, capire che in un bicchiere di vino di qualità c’è il lavoro di uomini, il respiro della terra e delle stagioni, c’è il riflesso dei capricci e delle benevolenze della natura può essere uno straordinario momento di crescita culturale. In Francia i bambini delle scuole elementari, pur non bevendo, imparano a conoscere la pianta della vite, i suoi cicli vitali, le zone vitivinicole e le loro differenze, la cultura della tavola e del bon ton.
Nessuno al mondo possiede un patrimonio storico-culturale sul vino e sul cibo minimamente paragonabile a quello italiano. Esso è nel nostro DNA. Proviamo a trasferire questa linfa vitale sui testi scolastici, nelle aule, a renderle parte del bagaglio di nozioni generali che ogni bambino, prima, ragazzo e uomo poi, devono possedere. Allora, nella considerazione collettiva un cameriere sarà un ambasciatore di qualità e non più un precario in attesa di un impiego migliore, un cuoco sarà sempre più assimilabile a un artista, un piatto il racconto di un popolo e un bicchiere di vino l’espressione dell’identità di una terra e dei suoi uomini. Proviamoci.