Sono passati molti anni da quando, in occasione di un convegno tenutosi a Cirò, ebbi il privilegio di conoscere Antonio Librandi. Con l’amico Paolo Lauciani fummo quasi rapiti e portati a visitare una realtà aziendale che costituiva, nel territorio calabro, una straordinaria cattedrale nel deserto. Antonio ci lasciava guardare, demandando ai più loquaci familiari e tecnici dell’azienda le spiegazioni in merito alle vigne e alla cantina. Aprì bocca solo quando mi vide stupito mangiare serenamente un peperoncino appena colto: “sei più calabrese di un calabrese!”, esclamò.
Antonio Librandi, uomo mite, serio, lavoratore instancabile, ci ha lasciati. Con Nicodemo ha saputo creare uno dei capisaldi della qualità italiana, e un marchio di eccellenza in una delle terre più belle e al tempo stesso più difficili del mondo. Antonio ci ha fatto capire che anche nella regione dove la campana della criminalità organizzata quotidianamente soffoca, anemizza e violenta il territorio e la dignità di un popolo, la caparbietà, il lavoro e la passione possono resistere al tritacarne del malaffare. La ‘ndrangheta può devastare l’ambiente, inondare banche e finanziarie locali di denaro sporco, chiedere pizzi e balzelli, ma non può cancellare un mare da cartolina, non può volatilizzare i profumi più inebrianti e, soprattutto, non può cancellare la Storia, quella storia che ha assegnato alla Calabria la primogenitura della viticoltura nella penisola italica.
Antonio Librandi non lascia solo un’azienda, che i familiari sapranno adeguatamente valorizzare e onorare ancor di più nel suo nome. Lascia un patrimonio di esperienza al quale tutti i giovani calabresi debbono guardare, per non essere costretti ancora una volta a emigrare per trovare un'identità, alimentando quell'emorragia di eccellenze che l'illegalità di pochi ha generato in Calabria nei molti. Non emigrare ma restare a valorizzare una terra che è culla di bellezza, storia, e cultura.
Nei solchi delle vigne Librandi, sapientemente tracciati, c’è tutto questo.